Breve excursus tra il nuovo e il vecchio patto europeo sulle migrazioni, con l’intervista a Iasonas Apostolopoulos, rescue coordinator di Mediterranea Saving Humans, attivista e volontario di soccorso sulle coste greche.
Migrare è un fatto umano, antico. Ma negli ultimi decenni la cronaca ci riporta alle stragi in mare, troppo spesso con le immagini di corpi e barconi che affondano di fronte all’indifferenza della politica, nazionale ed europea. In estate, con migliori condizioni del tempo e del mare, le migrazioni aumentano e così i fatti più drammatici rimbalzano tra i social e le televisioni e diventano un tema che occupa l’agenda politica dei principali governi europei, in una girandola di dichiarazioni e di trattative che troppo spesso sono uno scaricabarile o un elemento di contrattazione su altri temi economici. Nei mesi successivi alla fine della pandemia, ovviamente, il fenomeno migratorio ha ripreso il suo ritmo, incessante. Nei primi quattro mesi del 2023, secondo l’ultimo report di Frontex, le persone migrate lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sono state 42.165, quattro volte tanto rispetto ai primi quasi mesi del 2022. Cosa ne è stato del documento del 2020 riguardante il Patto europeo su migrazione e asilo?
Il documento, nello specifico, aveva una colonna portante: la tutela dei migranti minori non accompagnati, promuovendo l’obiettivo di perseguire il loro supremo interesse attraverso la garanzia di un tutore per ognuno di essi e una rappresentanza legale per affrontare le procedure determinanti lo status del minore. Per attuare queste procedure l’UE ha incrementato controlli serrati, alle frontiere e nei differenti punti di accesso, creando numerosi hotspot inumani in cui le persone si ammassano in attesa di giudizio; centri che, inevitabilmente, diventano luoghi in cui i diritti umani sono non solo a rischio, ma troppo spesso dimenticati. A questo si aggiunge il tema del rimpatrio, altro nodo fondamentale , devastante da un punto di vista umano e di difficile gestione burocratica.
Il rimpatrio viene attuato quando al migrante non vengono riconosciute le condizioni di base per restare in un determinato Paese; il rimpatrio viene attuato quando al migrante non vengono riconosciute le condizioni di base per restare in un determinato Paese; anche qui il documento raccomanda agli Stati europei procedure sicure con l’obbligo di verificare che vi sia un’accoglienza adeguata; punti importanti che non trovano riscontro nelle realtà che si vivono a Lampedusa, a Ceuta e Melilla, o anche su altre rotte dell’immigrazione, come sulle coste Canarie.
Altro punto che resta una domanda aperta sono gli 11 miliardi di euro finanziati dall’UE e dai contributi dei paesi associati Schengen verso Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera, di cui 2,2 miliardi destinati all’acquisizione, manutenzione e gestione di risorse per la sorveglianza aerea, marittima e terrestre. Così dal documento del 2020 si è arrivati ad oggi con quello che gran parte della stampa ha presentato come un nuovo, ennesimo, patto per le migrazioni. L’agenzia giornalistica italiana AGI titolava così lo scorso 8 giugno 2023: «Nuovo Patto per le migrazioni, raggiunto l’accordo in Europa».
Proprio l’Italia di Matteo Piantedosi e Giorgia Meloni – annunciava la stampa mainstream – sembra uscire vittoriosa dopo il voto al Consiglio Affari interni del 9 giugno scorso. In realtà è la vecchia ricetta della destra nostrana: l’Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati. Il nuovo accordo prevede l’aiuto agli Stati europei in difficoltà con il ricollocamento del migrante o con il pagamento di una somma di 20.000€ per ogni migrante non ricollocato. Persone con un prezzo sulla testa.
Un nuovo ping pong della Fortezza Europa, in cui il migrante viene spersonalizzato diventando un oggetto di scambio con tanto di valore economico in un gioco indegno di scaricabarile fra gli Stati. Se l’accordo è un insuccesso, fra poco diremo perché, non sono mancati gli entusiastici e egoriferiti complimenti, come il tweet del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: “Questo è davvero un grande passo! Congratulazioni alla commissaria Ylva Johansson e alla svedese del Consiglio Ue per la perseveranza e il duro lavoro”. Ma non è proprio così.
Andiamo per punti: i salvataggi in mare rimangono uno degli aspetti più inconsistenti e drammatici rispetto al non coordinamento dei vari Paesi. EuroMed Rights, l’organizzazione per i diritti umani, ha infatti sottolineato come negli ultimi anni le ONG e le varie organizzazioni in materia di migranti e diritti umani siano state vittima di attacchi repressivi da parte dei governi di vari Paesi per le azioni di salvataggio in mare. In un seminario con più di 30 organizzazioni dell’area euromediterranea EuroMed ha dichiarato: «È ora di aumentare le vie legali e sicure di protezioni, aumentando i visti per i migranti e incrementando nuovi corridoi umanitari semplificando soprattutto i procedimenti per i ricongiungimenti familiari». Effettivamente il punto cruciale per molti migranti è ricongiungersi con i familiari sparsi sul suolo europeo, punto che viene a mancare nel momento in cui si esaminano le domande di protezione internazionale solo nel primo Paese d’ingresso, senza contemplare l’opzione dei vincoli familiari del migrante.
Così in molti casi non solo al migrante viene negato il diritto di ricongiungimento familiare ma ancor più pericoloso può essere il rimpatrio in quello che nel nuovo documento viene definito un “Paese terzo sicuro”. Nella fattispecie i migranti con bassa probabilità di non ottenere l’asilo saranno trattati attraverso una procedura d’urgenza per poi essere respinti o meglio accompagnati verso quello che l’UE ha definito ‘Paesi terzi in cui la sicurezza viene garantita’; tra questi figurano il Marocco, la Tunisia, la Turchia o l’Algeria, dove gli episodi di violazioni dei diritti umani sono ben noti. Quello che davvero sembra grave è che non c’è nessuna normativa europea a stabilire quali siano questi Paesi terzi sicuri. La scelta sarà arbitraria per ogni Paese; quindi ogni governo sceglierà l’ accordo con il proprio Paese sicuro. Quello che dunque era l’accordo di Dublino non viene scalfito, al contrario si rafforza sul concetto di base, ovvero: lo Stato di primo approdo gestirà arbitrariamente i diritti di asilo e rimpatrio.
Mediterraneo letale
Le recenti politiche europee applicate ai flussi migratori che attraversano il mar Mediterraneo trattano la questione come un fenomeno emergenziale. Solo dall’inizio di quest’anno si contano 1000 decessi in mare, esclusi i dati che sfuggono alle statistiche. È corretto parlare, dunque, di un’emergenza sistemica, per la partenza di migliaia di persone al mese da Paesi critici e per le limitazioni alle politiche di protezione delle frontiere di Stato.
Le Principali 15 nazionalità di richiedenti asilo alla prima domanda nel 2021, secondo i dati (Eurostat) hanno presentato le prime domande di asilo verso i seguenti paesi: Germania (148.200), Francia (103.800), Spagna (62.100), Italia (45.200), Austria (37.800).
Nel 2023 l’UNHCR ha rilevato 78.637 arrivi via mare in Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta. Mentre si contano 1208 morti e dispersi (il dato è aggiornato al 25 giugno 2023, fonte Eurostata).
Reduci dal nuovo patto sulla migrazione e l’asilo (2020) le frontiere europee hanno visto aumentare controlli e strette, prevedendo, così avevano scritto, «una gestione solida ed equa delle frontiere esterne, che comprenda accertamenti dell’identità, sanitari e di sicurezza; norme eque ed efficaci in materia di asilo, snellimento delle procedure in materia di asilo e di rimpatrio; un nuovo meccanismo di solidarietà per le situazioni di ricerca e soccorso, di pressione e di crisi; potenziamento della previsione, della preparazione e della risposta alle crisi» (EUR Lex).
Negli ultimi anni 93 mila persone sono state catturate in mare e deportate illegalmente nei lager libici (JL Project, database dei respingimenti in Libia) nella più grande deportazione di massa di questo secolo. L’art.33 della Convenzione di Ginevra sancisce il principio di non-refoulement (respingimento), a intendere qualsiasi forma di allontanamento forzato di persone verso territori dove la vita o la libertà sarebbero minacciate. È illegale. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto si applica indipendentemente dall’avvenuto riconoscimento dello status di rifugiato. Nel caso dell’Italia, per esempio, si nota un aumento degli sbarchi di persone giunte attraverso il Mediterraneo, prendendo in considerazione gli stessi periodi degli anni precedenti:
È chiaramente necessaria l’adozione pratica di politiche di accoglienza funzionali alla dignità umana e alla legalità di movimenti migratori già di per sé a norma di legge. Si chiama Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per cui: «Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altrui» (Protocollo 4; Art. 2) e «Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena» (Titolo 1; Art. 2).
Chi si rifugia nell’incertezza della propria sopravvivenza fugge da una morte quotidiana, cerca solo modi diversi per recidersi da uno stato disumano, a seconda di ciò che gli viene concesso -o inflitto, nella maggior parte dei casi ai confini libici.
ONG e soccorsi in mare
Ci sono 89.4 milioni di rifugiati nel mondo (OIM, World Refugees Report 2021). Persone che si spostano per una condizione di vita migliore, spesso per sopravvivenza. Che la vita di queste persone sia stata recuperata da morte certa per mano di autorità attive sarebbe ciò che vorremmo poter scrivere in ogni articolo, ma coloro che sono sopravvissute, lo devono spesso a resistenza personale e presenza di organizzazioni civili presenti.
Una realtà troppo violenta per essere silenziata. Il mare, come pochi elementi naturali, cancella e non lascia molte tracce, né rumori. Ma le scie portano con sé i resti di chi non ce l’ha fatta, il peso di due braccia che hanno provato a nuotare senza forza, la disperazione di esseri umani i cui problemi non sono trattati con dignità. Ognuno di loro attende tempi migliori, e ciò che sembra essere un brutto film è la storia quotidiana di chi fugge e di chi dedica la sua vita a tendere la mano.
Iasonas Apostolopoulos, rescue coordinator di Mediterranea Saving Humans, attivista e volontario di soccorso sulle coste greche, racconta:
«Il posto dove lavoriamo, il mar Mediterraneo rimane alla lunga il mare più mortale sul pianeta. Negli ultimi 7 anni più di 24mila persone hanno perso le loro vite. Il Mediterraneo centrale è un’area molto vasta con migliaia di miglia nautiche di mare aperto. Queste morti non sono risultato di un incidente, ma di tre principali leggi di migrazione europee:
- Non ci sono rotte sicure. Questi naufragi e massacri in mare continueranno fin quando non ci saranno delle rotte sicure e legali per le persone che stanno cercando protezione e sicurezza sul suolo europeo. Molte regioni accettano persone dai paesi dell’occidente, per questo se le leggi migratorie continueranno a discriminare i poveri, l’unica via per migliaia di persone per ricevere un protocollo internazionale asilo in Europa sarà pagare trafficanti e rischiare di affogare nel Mediterraneo, oppure di essere torturati, picchiati o addirittura sparati ai confini. Non c’è nessuna via legale o sicura per un essere umano affinché gli siano garantiti i propri diritti umani.
- Il secondo pilastro è quello della non assistenza. È una cosa comune per i paesi sulla costa europea di ignorare i casi di emergenza delle navi dei rifugiati. È una cosa comune che neppure condividono queste chiamate di emergenza, anche se sono obbligati a farlo dalle leggi marittime internazionali. Noi abbiamo casi in cui persone sono morte per la mancanza di acqua, dove aspettavano per giorni assistenza nel mezzo del mare, all’interno della zona di ricerca e soccorso europea. L’ultimo incidente è quello di Loujin, una bambina di 4 anni siriana morta di sete nel settembre 2022, perché le autorità greche si sono rifiutate di aiutarli quando la barca ha chiesto aiuto nel sud di Creta.
I membri dell’UE stanno volontariamente lasciando morire persone affogate, cosicché li spingano a non partire. La decisione di negare assistenza usa la morte come metodo per prevenire la migrazione in UE. È per lo stesso motivo che stanno chiamando le navi soccorritrici il “pull factor” delle migrazioni. Loro usano il termine pull factor, è insano, intendendo che più li aiuti, più persone verranno e questo ispirerà le migrazioni. Dunque se le fai morire, verranno meno persone. Se non le soccorri, scoraggerai le migrazioni. Usano la morte come misura preventiva. - Il terzo pilastro, i respingimenti. Dal 2017 Frontex ha ritirato le sue navi di ricerca e soccorso dal Mediterraneo centrale e le ha sostituite con degli aerei. Perché aerei? Perché gli aerei non possono salvare, possono solo vedere.
Durante le nostre missioni, l’unico aiuto europeo che vediamo in mare è un drone di sorveglianza di Frontex che vola costantemente sulle nostre teste, così se siamo vicini ad una barca con dei rifugiati, loro mandano le coordinate alle guardie costiere libiche finanziate dall’UE per arrivare lì prima di noi. Così intercettano i rifugiati e li forzano a ritornare, per poi torturarli nei campi e usarli come schiavi nei mercati libici.
Ogni anno migliaia di persone sono respinte e gli aerei e i droni di Frontex sono la principale ragione per cui queste persone sono mandate indietro in Libia dalle cosiddette guardie costiere libiche. L’Europa sta finanziando e addestrando le milizie libiche che sono coinvolte nel traffico di esseri umani, torture e uccisione di migranti. E loro li addestrano con l’unico obiettivo di intercettare le navi dei rifugiati e respingere le persone nelle zone di guerra.
Di certo questa è un’estrema violazione delle leggi internazionali, quella di riportare indietro le persone in una zona dove accadono atrocità testimoniate e documentate. Immaginiamo se gli stati europei avessero portato indietro la gente ucraina in Ucraina.
A giugno abbiamo assistito al naufragio più mortale nella storia della Grecia e uno dei più grandi nella storia dell’Europa. Una barca che partita dalla Libia che si stava dirigendo in Italia è affondata vicino Pylos e circa 650 persone sono state riportate morte o disperse. Le persone morte erano chiaramente all’interno della zona di ricerca e soccorso greca, ciò significa che le autorità greche avevano la responsabilità legale di coordinare le operazioni di ricerca e soccorso ma non l’hanno fatto. Loro sapevano del segnale di emergenza da 15 ore e non hanno fatto nulla. Quindi devono essere ritenuti responsabili dell’accaduto.
Tutti i sopravvissuti hanno riportato che la guardia costiera greca ha legato la barca con una corda, tirandola e questa azione ha portato al capovolgimento della barca. Questo è qualcosa che vediamo molto spesso nell’area tra la zona SAR (Search and rescue) greca e la SAR italiana. Le autorità greche stanno ignorando le imbarcazioni che sono all’interno della SAR greca perché sanno che le navi vanno in Italia. Per questo mandano navi mercantili per dare cibo e acqua ai rifugiati sulle imbarcazioni come metodo per incoraggiare le persone a continuare il viaggio verso l’Italia. Ritengo che per le stesse ragioni stavano trascinando la barca affondata vicino Pylos: per portarla fuori dalla zona greca verso l’Italia. Tutti stanno parlando delle tattiche di respingimento della Turchia alla Grecia e nessuno parla dei respingimenti dalla Grecia all’Italia».