Recentemente mi è capitato di leggere due raccolte di testi scritti da Alexander Langer, Non per il potere (Chiarelettere, 2016) e Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995 (Sellerio, 2003). Langer rappresentava alla perfezione il non essere allineato a nessuna posizione manichea e proprio per questo, in un perpetuo contrasto costruttivo finalizzato alla ricerca di una via d’uscita dal basso, tendeva ad unire nelle sue battaglie questioni ambientali e questioni sociali.
In un’intervista del 1985 con Adriano Sofri apparsa su Fine Secolo, argomentava che «tra dire che nei prossimi 15 anni si decide la sorte delle future generazioni e battersi perché la temperatura del mare non aumenti di 1 o 2 gradi fino a conseguenze irreversibili, c’è un abisso. Ma, beninteso, non un abisso maggiore di quello fra i sogni della I Internazionale e le persone che si riunivano in una stanzetta per fondarla».
La necessità che già allora si palesava, anche per Langer, era passare dalle parole ai fatti, l’urgenza di un agire concreto che andasse oltre le parole e mettesse in pratica tutte le belle cose che ci si proponeva e ci si propone di fare.
Sappiamo da decenni che le sorti ambientali del pianeta sono quelle che stiamo vivendo ora, Langer a tal proposito aveva posizioni radicali motivate dalla volontà di cercare un orizzonte comune per uscirne collettivamente, come comunità e non come individui.
Nel 1991 su Servitum scriveva: «Ogni nuova automobile acquistata e immessa sulle strade aumenta l’effetto dell’inquinamento. Ogni aumento degli armamenti, dei rifiuti, della cementificazione porta l’umanità, e il pianeta, più vicino alla soglia dell’irreversibilità del degrado e provoca effetti sinergici che si potenziano a vicenda in un gigantesco intreccio di cause e di concause che portano al disastro. […]
Distruggere il presente per salvare il futuro non può essere una proposta né convincente né vincente. [È necessario] convincersi che lasciare tracce dà maggior soddisfazione che produrre voragini. Non solo quindi in nome dei figli, ma anche per interesse e amore proprio».
Il mercato da anni ci sta vendendo l’idea che acquistando macchine elettriche e altri beni di consumo sostenibili riusciremo a salvare il pianeta, questa attitudine capitalista è il frutto della sua stessa logica predatoria e cannibale. Il punto non è cosa consumare, ma cosa produrre.
A tale proposito sempre nel 1991, nella prefazione del libro Lettera a un consumatore del Nord, scriveva: «L’ideologia non cessa di ripeterci che il consumatore è il coronamento e destinatario finale di ogni bene e ogni servizio e che tutto è fatto per accontentarlo e servirlo sempre meglio. Ma nella pratica si sa che il consumatore degli strateghi del mercato è considerato bestia da ingrasso […] I suoi gusti obbediscono a leggi dominate dal denaro e dalla convenienza, non da scelte ideali e di valore».
Come società abbiamo totalmente perso ogni tipo di pensiero critico al riguardo e siamo integrati in una logica di sottomissione al mercato tale per cui acquistiamo comunque quello che ci dicono essere prodotto in modo sostenibile e nel rispetto delle normative, anche se è un prodotto inquinante.
La differenza maggiore con chi oggi si occupa di lotte ambientali è che in Langer troviamo un’attenzione e una grande sensibilità verso le fasce più povere della società, le stesse che subiranno inevitabilmente le prossime riconversioni industriali. Nell’intervento ad un convegno a Dobbiaco (BZ) nel settembre 1994 è contenuta la summa del suo pensiero ecologista e ambientalista.
Là dove la nostra società muove capitali «all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), […] dove l’agonismo e la competizione sono la norma quotidiana onnipervadente», è necessario radicare «una concezione alternativa, che potremmo sintetizzare, al contrario, in lentius, profundis, sauvius (più lento, più profondo, più dolce)».
Una sorta di decalogo per punti (soluzione metodologica molto cara a Langer per dare ordine ai suoi pensieri) che esorta infine a una riflessione definitiva su quali saranno i soggetti da tutelare in questa crisi ambientale: «Solo una vasta redistribuzione sociale del lavoro permetterà la necessaria correzione di rotta. L’ammortamento sociale degli effetti prodotti da scelte di conversione ecologica (che si chiuda una fabbrica d’armi o un impianto chimico) è un investimento importante e utile quanto e più di tanti altri, e se si indennizzano i proprietari di terreni che devono cedere a un’autostrada, non si vede perché altrettanto non debba avvenire nei confronti di operai o impiegati che devono cedere alla ristrutturazione ecologica».
Questo tema centrale, nelle odierne lotte per l’ambiente (penso a Extinction Rebellion, Ultima generazione e a FFF), viene spesso marginalizzato, mentre invece è il perno attorno a cui dovrebbe muoversi tutto. Non possiamo pretendere di spiegare un cambiamento epocale ed estremamente complesso senza coinvolgere chi quotidianamente lavora e percepisce reddito da quei settori industriali su cui impatteranno maggiormente i cambiamenti economici dovuti alla crisi ambientale.
In un precedente intervento a VerdeUil del 1983 già si intravedeva questa riflessione: «Solo la logica distorta del produttivismo e la resa all’ottica padronale e aziendale può far scegliere gli operai e i sindacati di stare dalla parte del produttivismo padronale, cioè dell’indifferenza verso il cosa e come si produce, purché si produca e si venda il prodotto.
Ma esiste un’altra tradizione nel movimento operaio: quella che annovera la rivendicazione di fabbricare aratri invece che cannoni e di costruire case popolari invece che alloggi di lusso […] Il movimento ecologista contiene un grande invito al movimento operaio: quello a rompere la subalternità al produttivismo e ad occuparsi della qualità del lavoro e delle sue condizioni».
Nel ripescaggio dagli anni passati, all’interno di un revival che spesso si fa a sproposito, ci si scorda sempre della figura di Alexander Langer, delle sue posizioni d’avanguardia nelle lotte ambientaliste, delle sue parole mai scontate, sempre ragionate e pesate ma allo stesso tempo radicali e nette.
Parole che inquadravano il problema proponendo in modo costruttivo ipotesi migliorative per il futuro di tutte le persone che abitano la terra, per il pianeta stesso e contro tutte «le scorciatoie sloganistiche che aiutano a contarsi ma non a cambiare persone e circostanze».