Non il titolo di un romanzo fantasy del Novecento, ma i simboli che migliaia e migliaia di donne polacche hanno indossato in piazza per reclamare il diritto di decidere del proprio corpo. Nel 1932 la Polonia è stata tra i primi Paesi a consentire l’aborto in caso di stupro, di incesto o se la salute della madre fosse risultata in pericolo. Negli ultimi anni invece si è verificata un’inversione di tendenza: la Polonia è tra i Paesi con le leggi sull’aborto più restrittive. Un cambiamento che ha spinto moltissime donne, e non solo, a organizzarsi per riempire le strade delle città con cartelli sarcastici, fulmini, ombrelli neri per chiedere che non sia lo Stato a decidere sulla loro salute e diritti sessuali riproduttivi. Le manifestazioni sono state crocevia di simboli, riferimenti biblici e letterari, meme, arte che si sono evoluti nel corso degli anni. Un cambiamento raccontato da Alessandro Ajres in “Aborto senza frontiere. Il movimento polacco e i suoi modelli”, edito da Rosenberg and Sellier, 2022.
Ajres inizia ricostruendo il movimento per i diritti a partire dalle proteste del 2016 mettendone a fuoco continuità, discontinuità e individuando i movimenti precedenti sulle cui spalle si sono potute reggere le donne polacche.
«E se qualcuno non può partecipare allo sciopero, allora può comunque affiggere un manifesto, vestirsi di nero, interrompere i lavori di casa. Solo più tardi ci siamo rese conto che, assecondando questa spontaneità, abbiamo ridefinito il concetto di sciopero relativo al xx secolo», scrive in merito Klementyna Suchanow.
Innegabile, secondo Ajres, il legame con le Primavere Arabe soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dei social. Non solo per l’organizzazione e la diffusione di immagini delle manifestazioni ma anche come “archivio” dove tener traccia delle manifestazioni stesse. Una differenza rispetto alle rivolte arabe è l’utilizzo di Telegram per limitare l’accesso alle informazioni sulle manifestazioni alle forze di polizia.
Fulmini e ombrelli
Il simbolo maggior mente riconosciuto delle proteste polacche è il fulmine rosso su sfondo nero. La scelta del colore nero è duplice. «Il nero è il colore del lutto per indicare la fine della libertà di scegliere. Il nero è assurto a forma esplicita di colore della protesta relativamente di recente, potremmo dire con l’affermarsi del postideologismo», scrive Ajres. Inoltre il nero lega le lotte femministe del passato a quelle del presente. Nel 1918 le suffragette polacche ottennero l’estensione del diritto di voto all’intera comunità femminile protestando in un giorno di pioggia con ombrelli neri. Nel 2016 le donne polacche hanno portato avanti questo simbolo manifestando in fila fuori dai negozi, sorreggendo ombrelli neri. Benché nel 2020 il simbolo dell’ombrello abbia perso in parte la sua forza rimane l’utilizzo del colore, in contrapposizione al rosso del fulmine. La creatrice del simbolo, Ola Jasionowska, racconta che la scelta del fulmine è stata naturale, veloce, intuitiva. Scevra di significati mitologici e religiosi. Ajres non manca di notare come, nonostante le motivazioni dell’artista, il fulmine sia l’emblema di Zeus. Riappropriarsene e utilizzarlo come simbolo delle manifestazioni a favore del diritto all’aborto significa anche voler ribaltare il potere patriarcale e il controllo sul corpo femminile che quel fulmine ha rappresentato nell’Olimpo e nella società.
Twój kot, nasze bobry (Il tuo gatto, i nostri castori)
Un’intera sezione è dedicata ai trasparenty: i cartelli usati, fotografati e postati nei social durante le manifestazioni. Si tratta di cartelli satirici, spiritosi, arguti e a volte volgari. I bersagli principali sono i decisori politici: il presidente Andrzej Duda, il primo ministro Mateusz Morawiecki, il vice primo ministro Jarosław Kaczyński ma i trasparenty non mancano di colpire anche la Chiesa. Secondo Ajres emerge una forte volontà di sottolineare la distanza tra ciò che il popolo vuole e ciò che il governo fa così come tra il messaggio della Bibbia e l’applicazione pratica che ne fa la Chiesa. In particolare i politici vengono scherniti per la loro incapacità di comprendere il momento storico in cui si trovano a governare e vengono paragonati a persone molto anziane o a bambini, categorie ritenute non in grado di decidere per sé stesse. Nei cartelli branditi dalle donne polacche torna spesso la curiosa contrapposizione tra castoro e gatto. Il riferimento è al gatto di Jarosław Kaczyński, vice primo ministro polacco, e i “castori delle donne”, ovvero il loro pelo pubico. Infatti, come sottolinea Ajres, in inglese beaver (castoro) in gergo significa, appunto, vagina. Secondo l’autore “Il castoro, dunque, esce dal suo significato metaforico di laboriosità, in senso cristiano persino di ascesi, per indicare l’orgoglio di genere”. Una scelta che avvicina le istanze femministe a quelle antispeciste.
“Aborto senza frontiere. Il movimento polacco e i suoi modelli” mette in relazione le proteste delle donne polacche con i fenomeni artistici, culturali e politici globali degli ultimi anni. Lo fa esplorando le contaminazioni tra letteratura, cultura pop, arte, giochi di parole e sottolineando come per la prima volta, in Polonia, si sia delineata la figura della “donna-combattente”.
«La comparsa di donne-combattenti costituisce una sorta di sospensione delle regole della storia, il segno che la comunità si è trovata in uno stato di particolare pericolo […] Entrare nel movimento di resistenza significa per le donne la sospensione degli interessi del proprio genere. Quando il periodo di lotta finisce, le donne sono rimesse al “loro posto”. Per loro, viene fatto valere costantemente il meccanismo del “poi tu”: prima l’indipendenza, poi tu; prima uno stato forte, poi tu; prima la vittoria (nella Seconda guerra mondiale), poi tu; prima il socialismo, poi tu; e infine, prima il capitalismo, poi tu. La Polonia contemporanea è un paese in cui la lotta per la modernità si svolge a spese delle donne: per la prima volta, in seguito alla battaglia scatenatasi intorno alla legge sull’aborto, queste hanno l’opportunità di fermare e ribaltare il meccanismo arrugginito dall’usura del patriarcato».
Abbiamo chiesto all’autore di raccontarci come la situazione è cambiata da quando ha finito di scrivere il libro a oggi.
Com’è cambiata la situazione negli ultimi tre anni in Polonia dal punto di vista politico?
La situazione in Polonia non è cambiata affatto. Il 15 ottobre, tra poco meno di un mese, si terranno però le elezioni parlamentari, che potrebbero stravolgere la guida politica del Paese per quanto i sondaggi sembrino piuttosto “conservativi”. Una delle cose promesse in campagna elettorale dall’opposizione attuale è proprio quella di modificare la recente legge sull’aborto, anche se, nello specifico, ancora non si sa bene in che modo.
Come (e se) è cambiata la partecipazione alle manifestazioni?
La partecipazione alle manifestazioni, dopo le “fiammate” iniziali di cui il libro rende conto, si è andata affievolendo per una serie di cause esterne (repressione) e interne (qualche divisione interna al movimento, un po’ di stanchezza nel perseguire un obiettivo che resta lontano); tuttavia, ogni volta che emerge un fatto di cronaca relativa alle conseguenze nefaste della nuova legge, le manifestazioni convocate tornano ad essere molto “partecipate”
Se scrivesse il libro oggi, che capitolo aggiungerebbe?
Se lo scrivessi oggi, dovrei ampliare (purtroppo) la cronaca inerente le conseguenze della legge, per la quale sono già morte alcune donne polacche a causa dell’intervento tardivo dei medici, preoccupati di venire perseguiti penalmente; inoltre, mi piacerebbe affrontare il tema di come le forme di proteste in Polonia abbiano influenzato quelle nel resto del mondo, inerenti la tematica dell’aborto o meno.
La foto in copertina è stata scattata il 18 giugno 2023 ed è stata condivisa sull’account Instagram strajk_koviet, tra i principali profili che testimoniano le manifestazioni.