Il gruppo Benetton cede, Autostrade torna sotto il controllo dello Stato. Questa in sintesi la notizia del 12 giugno, nell’aria e preannunciata da settimane.
L’accordo che vede acquirente il Consorzio formato da Cdp Equity e dai fondi internazionali (ovviamente privati) Blackstone e Macquarie e venditore Atlantia (la controllante del gruppo Benetton) interesserà l’88,06% di Aspi, la società Autostrade per l’Italia.
Aspi diventerà quindi, una volta perfezionata e conclusa la cessione, di proprietà di Hra Holding Reti Autostradali SpA. Società di cui Cdp Equity detiene il 51% delle quote. Cdp Equity è una società per azioni del gruppo Cassa Depositi e Prestiti, il cui nome era fino al 2016 Fondo Strategico Italiano – nata con l’obiettivo di investire in imprese di “rilevante interesse nazionale”. Il Ministero del Tesoro si appresta quindi a diventare il detentore della maggioranza delle quote della principale società che gestisce infrastrutture autostradali italiane.
La notizia, nell’aria ormai da settimane, è stata salutata da fonti governative e dalla larga parte della stampa in maniera trionfale e come conclusione anche dell’inglorioso e travagliato capitolo iniziato dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova.
Un crollo le cui responsabilità sono apparse, con il passare dei mesi, sempre più chiare. E a cui si sono aggiunti crolli e mancate manutenzioni in varie parti d’Italia. Ci sono regioni come l’Abruzzo dove gli ultimi due anni hanno visto settimane da incubo per chiusure e lavori vari.
Una situazione iniziata dopo un’inchiesta della procura di Avellino successiva all’incidente lungo il viadotto Acqualonga dell’Autostrada A16 il 28 luglio 2013.
Le indagini sulla tragedia del 2013 portarono ad un processo in cui furono coinvolti anche dirigenti di Autostrade per l’Italia. Secondo una relazione tecnica dei consulenti della Procura di Avellino le barriere di protezione non avrebbero fermato il bus per «lo stato di degrado dei tirafondi» e non ci sarebbe stata «alcuna attività di controllo né tantomeno di manutenzione».
Pesanti accuse a cui la società replicò durante il processo. L’11 gennaio 2019 la sentenza di primo grado ha assolto i dirigenti di Autostrade per l’Italia e disposto alcune condanne solo per alcuni dipendenti. Intanto erano iniziati altri filoni che coinvolsero diverse regioni tra cui, appunto l’Abruzzo. Secondo l’ordinanza di sequestro del gip di Avellino dopo l’incidente del 2013, da cui è partita l’inchiesta della Procura, ASPI sostituì in tutta Italia gli ancoraggi con barre filettate fissate con malta cementizia, «compromettendo notevolmente la capacità di contenimento delle barriere in caso di urto con veicolo pesante» (citiamo testualmente dall’ordinanza), secondo un tecnico del ministero meno costosi. Tra il 2018 e il 2019 ci furono pareri negativi alle richieste del concessionario di omologazione perché non darebbero un’adeguata sicurezza; nel luglio del 2019 il Ministero dei Trasporti ordinò di sostituirle.
In uno dei primi dispositivi del Gip di Avellino si sostenne che il sequestro era “l’unica soluzione al momento concretamente praticabile per evitare il protrarsi di una condizione di insicurezza nella circolazione stradale idonea a cagionare, anche sull’A14, un evento disastroso di proporzioni analoghe a quello verificatosi in data 28.7.2013 lungo il viadotto Acqualonga dell’Autostrada A16 in seguito al quale alcun efficace dispositivo di controllo è stato predisposto da Autostrade per tutelare l’incolumità degli utenti della strada nemmeno dopo il precedente decreto di sequestro preventivo del 30.4.2019”.
Accuse a cui Aspi ha ripetutamente risposto rigettandole in toto. Oltre a redigere un robusto programma di lavori sbloccati con i vari dissequestri che si sono succeduti nell’ultimo anno e mezzo.
Tornando all’attuale vendita delle quote detenute da Atlantia di Aspi, le cifre dell’accordo vengono contestate da più parti. L’accordo prevede un prezzo di 9,1 miliardi per il 100% della società. A cui vanno sommati ulteriori 200 milioni di ticking free ovvero il “rendimento del capitale” dal primo gennaio 2021 al closing, la chiusura della compravendita.
“Per chi non ha mantenuto il Ponte Morandi sanzioni non miliardi” è stato lo slogan della manifestazione dello scorso 18 giugno alle ore 18 di fronte la Prefettura di Genova.
Obiettivo dell’iniziativa è stato «chiedere che venga interrotta la trattativa per l’acquisizione onerosa delle quote di Aspi da parte dello Stato e venga invece riavviato il procedimento di caducazione della concessione autostradale per le gravi inadempienze che hanno provocato la tragedia del Ponte Morandi nonché l’isolamento della Liguria con i relativi danni economici e i continui disagi per i cittadini». «Lo Stato non deve corrispondere neanche un centesimo al concessionario inadempiente, né deve consentire che gli venga reso un bene pubblico deteriorato e da tempo non soggetto alla corretta manutenzione, su cui dovrà investire risorse dei contribuenti per ripianare le inadempienze» hanno sottolineato.
“Non è che vogliamo che Aspi non sia venduta, più che altro non vogliamo che sia pagata – ha dichiarato la presidente del comitato dei parenti delle vittime del Ponte Morandi Egle Possetti – Penso che gli italiani abbiano già pagato a dovere e credo che con quello che è successo occorre proprio partire a monte, 20 anni fa, alla convenzione che va annullata. Dare questi miliardi francamente non ha nessun senso e credo che sia uno schiaffo alle nostre famiglie, alle vittime e a tutti gli italiani. E’ stata una operazione finanziaria da nobel. Per 20 anni utili stratosferici, nessuna manutenzione o un pochissime e poi casca un ponte, purtroppo un incidente di percorso che hanno avuto. E poi dopo, tutti arrabbiati, e questi quindi vanno via con 9 miliardi, più recuperiamo anche il debito di altri 9 miliardi a bilancio, verranno pagati i risarcimenti, e questo è tombale da un punto di vista di responsabilità. Credo che sia un capolavoro della finanza, peccato che per i cittadini non è un capolavoro”.
Oltre 300 le persone presenti alla manifestazione a cui hanno aderito vari parlamentari, soprattutto del gruppo degli ex Movimento 5 Stelle “L’Alternativa c’è”, ma soprattutto comitati, associazioni e movimenti. Tra i promotori il Comitato Autostrade Chiare, il Comitato Zona Arancione Ponte Morandi, l’Unione Comitati di quartiere Genovesi e Italia Nostra sezione Genova, tra gli aderenti il Comitato vittime del ponte Morandi, il Comitato San Cristoforo, Italia Nostra Genova, il Comitato salviamo Genova e la Liguria, EcoIstituto di Reggio Emilia e Genova, il Circolo Nuova Ecologia di Genova, Azione Civile – Popolo per la Costituzione, la Presidente di Legambiente Ovadese Michela Sericano, il Viccepresidente di Legambiente del Vercellese Gian Piero Godio.
“Non c’è nulla per cui festeggiare ed esultare. Sarà una transazione che indigna e che, ancora una volta, favorisce un grande imprenditore privato a danno dell’interesse pubblico e dei cittadini. Dopo decenni di gestione i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova e altri gravissimi disastri, non soltanto i Benetton e i loro dirigenti non sono stati inchiodati a pagare per le proprie responsabilità ma verranno addirittura, ancora una volta, foraggiati di miliardi di euro prelevati dalle casse pubbliche, dalle tasche di tutti i cittadini – la presa di posizione dell’ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia (intervenuto alla manifestazione) e di Azione Civile – Popolo per la Costituzione – Quanto sta accadendo è inaccettabile e vergognoso per uno Stato che, ancora una volta, piega la testa di fronte a lobby e (im)prenditori privati che hanno curato i propri interessi privati a scapito della collettività”.