17 Dicembre 2018
L’Iran assiste ogni mese alla partenza di centinaia di lavoratori irregolari afgani. Una popolazione disprezzata, ma al tempo stesso considerata fondamentale per settori quali la ristorazione, l’edilizia e l’agricoltura.
Quasi 800mila: questo è il numero dei migranti afghani residenti in maniera illegale in Iran che dal gennaio di quest’anno hanno fatto ritorno in Afghanistan, a una vita di incertezza economica e precarietà esistenziale.
L’Iran è il paese che tradizionalmente ha accolto più rifugiati provenienti dal vicino Afghanistan. Sono lontani però i tempi dei “mojaherin”, o “migranti religiosi involontari”. Così venivano chiamati i profughi della prima ondata, tra il 1979 e il 1989, quando l’invasione delle forze armate sovietiche – atee – in Afghanistan causò una vera e propria diaspora di afghani verso il vicino Iran in cui si era appena instaurato un governo islamico.
La dimensione religiosa di cui venne rivestita quest’ondata migratoria fece sì che agli afghani in ingresso venisse riconosciuto uno status semi-nobile, decisamente al di sopra della comune nozione di “rifugiato”, e che ad essi venisse accordato un permesso di residenza nel paese a tempo indeterminato, insieme a sussidi, assistenza sanitaria e istruzione garantita.
Qualcosa però si è incrinato a partire dagli anni ’90, quando l’esaurirsi del fervore rivoluzionario, la crisi economica incipiente e la pressione politica interna crescente hanno portato il governo iraniano a introdurre una politica volta a scoraggiare la migrazione in ingresso, eliminando sussidi e assistenza e restringendo ulteriormente il novero delle professioni a cui gli afghani potevano avere accesso.
I profughi in fuga dall’Afghanistan in guerra civile dopo la caduta di Kabul non erano più chiamati mojaherin, bensì semplici panahandegan, rifugiati. Al contempo, l’Iran ha avviato una collaborazione con Afghanistan e UNHCR allo scopo di favorire i rimpatri.
Questi lavoratori operano soprattutto nell’economia informale, nei settori delle costruzioni e dell’agricoltura, e colmano una domanda di manodopera a basso costo: per questo motivo vengono tollerati dal governo, ma spesso non dalla popolazione, che li considera alla stregua di usurpatori venuti a rubare il lavoro.
Negli anni recenti questo crescente sentimento anti-afghano tra la popolazione iraniana ha dato origine a inquietanti episodi di violenza, anche ai danni di minori, che rimangono però sottotraccia come sottotraccia rimangono le vite di questi diseredati.
Il netto peggioramento delle condizioni economiche in Iran, conseguenza della reintroduzione delle sanzioni da parte statunitense, ha inciso non solo sulle vite degli iraniani ma anche su quelle di questi migranti afghani, che hanno visto i loro salari svalutarsi in parallelo alla vertiginosa caduta del rial, e che trovano oggi difficoltà a collocarsi su un mercato del lavoro sempre più incerto.
Da qui la decisione di fare ritorno in Afghanistan, dove però ad attenderli è un mercato del lavoro altrettanto traballante, una crisi di sicurezza perenne e, quest’anno in particolare, una eccezionale siccità che ha inflitto pesanti danni al settore agricolo.
Leggi l’articolo di Orient XXI