di Andrea Cegna
3 Luglio 2018
Obrador potrebbe essere l’inaspettato, per movimenti sociali radicali, volto del cambiamento oppure sarà l’altro volto dello stato al servizio della speculazione, degli equilibri secondo cui il capitale domina sull’umanità.
Il trionfo di Andres Manuel Lopez Obrador, nuovo presidente del Messico. La sua coalizione Juntos Haremos Historia è avanti alla camera e al senato. A Città del Messico ci sarà una donna, per la prima volta, come sindaca Claudia Sheinbaum. Anche lei di MoReNa il partito fondato da AMLO nel 2012.
MoReNa vince anche diversi degli otto stati dove si votava per cambiare governatore. Il PRI, il partito stato che ha governato senza pause fino al 2000 e poi nuovamente dal 2012 è al minimo storico.
Il trionfo di AMLO è il fallimento dei partiti di potere, della politica messicana, della corruzione, della svendita della vita umana nel nome del profitto. Carlos Fazio, sulla Jornada, oggi riassumeva anni del paese in maniera magistrale e scrivendo “come ha ricordato Gilberto Lopez y Rivas, su queste pagine, questo conflitto armato, mai riconosciuto come tale, è la dimensione repressiva che William I Robinson definisce “accumulazione militarizzata”. La finalità è l’occupazione e ricolonizzazione integrale di vasti territori rurali e urbani volta al saccheggio e la spogliazione delle risorse geostrategiche, il tutto attraverso una violenza esponenziale che altro non è che lo spettro complessivo che caretterizza l’attuale paradigma del capitalismo; il conflitto e la repressione altro non sono che il mezzo di accomulazione della plutonomia”
Quindi più che il programma AMLO, uomo nato dentro i partiti e già sindaco della capitale, ha vinto perché è riconosciuto come politico senza macchia. Un paese stanco di violenza, di privilegi, e di falsità ha deciso di sfiduciare gli unici due partiti che hanno governato il Messico dalla fine della rivoluzione di Zapata e Villa.
No, non si tratta di una rivoluzione. AMLO e MoReNa per vincere hanno ceduto a molti compromessi. Il programma di AMLO è meno radicale di quello con cui perse nel 2006 subendo una frode elettorale pari a quella del 1988. Forse per la paura di essere nuovamente scippato della vittoria, o forse per volontà di potere, la coalizione Juntos Haremos Historia è stata formata aggiungendo al Movimento di Rigenerazione Nazionale, il Partito dei Lavoratori e gli antiabortisti ultra religiosi del PES, Partito di Encuentro Social. Non solo. Come ricordava Juan Villoro intervistato da Luca Martinelli per il Manifesto “ Il suo grande problema è che per raggiungere il potere ha rinunciato a essere diverso, stringendo alleanza con politici che sono l’opposto delle idee che lui dovrebbe rappresentare. Stanno dalla sua parte ex membri reazionari del PAN (Espino, Germán Martínez, Gabriela Cuevas), leader sindacali corrotti (Napoleón Gómez Urrutia, Elba Esther Gordillo), evangelici e pentecostali del partito Pes, ex membri del Pri (Esteban Moctezuma e Manuel Bartlett, quest’ultimo responsabile della frode elettorale del 1988).”
No, non è una coalzione di sinistra, non è una coalizione che ha a cuore i diritti sociali e civili. Le porte girevoli del partito movimento hanno trasformato il volto di MoReNa.
Domenica durante il voto sono stati riscontrati comunque migliaia di irregolarità. Gruppi armati nei seggi, schede rubate, omicidi, arresti pretestuosi, compravendita di voti, seggi chiusi per ore, e tante altre storie che ci dicono come la macchina della manipolazione del voto era attiva. Ma la grande sfiducia generalizzata sui governati non dava spazio ad una nuova frode. Così Obrador ha vinto.
Uno dei nodi del governo di AMLO sarà quindi quello di tenere assieme una coalizione ampia, e di salvaguardare la sua figura di uomo contro la corruzione. Nonostante pezzi della storia corruttiva del paese sono entrati dentro il suo partito. Ma anche come non tradire i sogni della speranza che ha spinto la cavalcata del nuovo presidente.
Sulle politiche economiche Obrador ha deciso di difendere il NAFTA. Non solo a proposto di trasformarlo e allargarlo, creando tra Messico, Usa e Canada non solo un area di libero scambio, ma un area senza confini, di fatto attaccando le politiche anti-migranti di Trump ma senza trasformare le condizioni materiali che generano la povertà nel paese. L’entrata in vigore del NAFTA fu il detonatore della rivoluzione Zapatista dell’EZLN. Le donne e gli uomini con il passamontagna scesero in armi e in azione proprio il 1 gennaio del 1994 per mostrare, anche fisicamente, l’altro Messico. Il Messico povero che sarebbe diventato più povero. Il Messico dimenticato che subiva il razzismo classista del modo di vita urbano e che poteva trovare un posto al sole solo smettendo di essere indigeni e facendosi assoggettare dal paradigma del capitalismo. AMLO difende il NAFTA e quindi esprime una lontanza sistemica con l’EZLN e con le tante forme di opposizione al capitalismo che vivono in rivolta nel paese.
Che la vittoria di AMLO non sia rivoluzione e non faccia paura agli equilibri continentali o globali è esplicitato dalle congraturazioni ricevute dal neo-presidente, con Trump tra i primi a complimentarsi.
Il Congresso National Indigeno e l’EZLN, presentando la “folle” idea di partecipare come indipendenti alle elezioni e così provando a raccogliere le firme necessarie per candidare Marichuy, scrissero “non abbiate dubbi, andremo avanti su tutto, perché sappiamo che ci troviamo di fronte forse all’ultima occasione, come popoli originari e come società messicana, di cambiare pacificamente e radicalmente le nostre forme di governo, rendendo la dignità l’epicentro di un nuovo mondo.”. Se la proposta di EZLN e CNI aveva una portata rivoluzionaria quella di AMLO certamente no. Obrador è uno dei tanti volti del riformismo. Non è nemmeno assimilabile alle sperimentazioni dei governi “progressisti” che hanno governato in latino america senza successo.
Però certamente chi ha votato AMLO ha votato per la speranza di un cambiamento pacifico e democratico del paese. Quindi parafrasando il documento di EZLN e CNI, AMLO è l’ultima speranza, per quei milioni di messicani che l’hanno votato, per vedere attraverso il voto un cambiamento, anche magari limitato, del paese. PAN e PRI sarebbero stati la continuità. La certezza che lo stato criminale avrebbe continuato a generare violenza raccontando di essere stato sconfitto dai narcos e di essere incapace di controllare lo scontro di potere per il controllo del territorio. E avendo dalla loro parte giornalisti di mezzo mondo pronti a mostrare il lato assassino del crimine organizzato, le poche parti della politica comprate dai narcos come mele marce, insomma tutto il cotè comunicativo buono ad assolvere presidenti, governi, forze di polizia ed esercito.
Abbiamo visto e sentito entusiasmo nel paese per la vittoria di AMLO. Anche da parti che storicamente non si “scaldano” per i risultati elettorali. Forse nulla di più dell’entusiasmo sfrenato per il nuovo presidente rappresentata lo stato di guerra e di oppressione in cui il Messico ha vissuto negli ultimi 12 anni, con governi corrotti e pronti a tutti per tenere e conservare il potere.
Certo il voto del 1 luglio sarà un momento storico per il Messico. Non perché ha vinto la supposta sinistra. Non perché la rivoluzione bussa alle porte a sud degli USA. Perché da oggi in poi non ci sarà ritorno: se AMLO non agirà nessun cambiamento, se sarà coinvolto in giochi di potere e corruzione, se sarà attori di una nuova versione dello stato criminale, se asseconderà le perverse logiche del capitalismo estrattivo e dei mega progetti, e/o non garantirà indigeni, campesini e poveri allora la sua vittoria altro non sarà che la legittimazione della violenza dello stato, che si da uno specchio di democrazia facendo vincere il “supposto uomo di sinistra”. In queste ore in Messico in moltissime e moltissimi festeggiano. Obrador potrebbe essere l’inaspettato, per movimenti sociali radicali, volto del cambiamento oppure sarà l’altro volto dello stato al servizio della speculazione, degli equilibri secondo cui il capitale domina sull’umanità. Sarà la fine della speranza, che qualcuno ancora possiede, che attraverso l’alternanza elettorale ci possa essere un cambiamento.