Genova non è una città di passaggio, o ci nasci o la scegli. Qui tutto è difficile e faticoso, quando provi a spiegare la tua scelta ai genovesi questi ti guardano come per chiederti se sei matto o cosa.
Il bilocale in cui vivo si trova nel quartiere San Teodoro, al piano terra di una mattonata del 1200, rossa, bellissima, tutta in salita, ogni passo un guadagno. A Genova, non so per quale motivo, mi sento a casa, sento che questo luogo mi appartiene come se ci avessi vissuto da sempre.
È la seconda volta che torno e l’idea di vivere affacciato sul Mediterraneo, il mare di Braudel e di Matvejević, mi consente di avere uno sguardo aperto sull’orizzonte, un punto di fuga che si espande senza limiti sul mare.
Il lusso di osservarla in questo modo è un privilegio che sono cosciente di avere e che mi piace condividere. Ma Genova per me sono anche gli amici, gli affetti, le lotte di compagni e compagne, le battaglie e le tragedie di questi primi vent’anni del secolo, ne ricordo un paio: il G8, gli alluvioni e il ponte Morandi. Ogni volta un’apprensione verso le persone care, beh ho deciso di vivere dentro questa apprensione pur di vivere la città.
Quello che rende invece Genova una città simile alle altre sono i processi di turistificazione che la stanno attraversando, fortunatamente molto lentamente. Ricordo un agosto di qualche anno fa in cui era tutto chiuso e si vedevano mandrie di croceristi muoversi disorientati in centro.
Molto divertente. Turistificazione significa fare diventare il centro storico una mangiatoia per turisti, significa intrattenerli trasformando la città in un parco giochi, significa dare in mano a una multinazionale senza regole, Aribnb, la responsabilità dell’aumento degli affitti e dei costi d’acquisto delle case.
Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il folle progetto di costruite una cabinovia dalla Stazione Marittima a Forte Begato, sulle alture genovesi, e qui farvi un parco divertimenti: i croceristi arriverebbero con le grandi navi, prenderebbero la cabinovia, arriverebbero a Forte Begato, visiterebbero il parco e tornerebbero poi sulla nave. L’inferno sarebbe più piacevole.
La settimana scorsa sono andato a Casa Gavoglio, un’ex caserma diventata casa di quartiere in cui si è riunito il comitato contro la costruzione della cabinovia. Siamo al Lagaccio, uno dei quartieri con la più alta densità abitativa della città e che subirà maggiormente l’impatto della realizzazione del progetto.
Qui tra strade piene di buche, dissesto idrogeologico e svariati problemi con la raccolta dei rifiuti (così lamentano i residenti), se i 27 milioni del Pnnr destinati alla realizzazione dell’opera fossero utilizzati in altro modo, ad esempio per migliorare gli aspetti di cui sopra, la vita di chi ci abita migliorerebbe in modo tangibile.
L’incontro è stato partecipato, gli interventi sono stati concreti, pratici e senza intellettualismi portatori di un lessico respingente, univa i presenti una grande preoccupazione per le sorti del loro quartiere già minato dalla speculazione edilizia degli anni Sessanta e Settanta, ora minacciato dalla costruzione di cinque enormi piloni di una cabinovia.
Dalla documentazione disponibile al banchetto delle informazioni, erano presenti un paio di proposte incentrate sull’attuazione di un benessere diffuso: dove sono già presenti i campi da calcio l’idea è quella di costruire una cittadella dello sport, a seguire poliambulatori e uffici di pubblica utilità per dare spazio ad attività ludiche, non a fini di lucro, invece per risolvere il problema dei posteggi viene proposta la ristrutturazione di un ex deposito degli autobus.
Soluzioni per tutti e miglioramento delle condizioni di vita quotidiane contro gli interessi di pochi, per pochi, sempre loro, gli altri, sempre gli stessi.
Sul ritorno verso casa, a proposito del progetto della cabinovia, mi è venuta in mente una canzone di gruppo punk di Pola, i Kud Idijoti, che si intitola Glupost je neunistiva, La stupidità è indistruttibile.
*La Sciamàdda è un locale, una sorta di friggitoria che vende cibo tradizionale. Ma sciamàdda ha anche un suo significato, è una parola arabo-genovese che significa fiammata, intesa appunto come la fiamma dei forni a legna che cuociono il cibo nella Sciamàdda.