Una scelta di libertà

di

10 Dicembre 2020

In ricordo Lidia Menapace

Partigiana, femminista, politica, saggista. All’anagrafe era Lidia Brisca, ma tutti noi la conosciamo come Lidia Menapace. Non si sottraeva a domande a bruciapelo o scomode e rispondeva sempre con prontezza e sincerità. È mancata il 7 dicembre 2020 e noi abbiamo deciso di ricordarla con questa breve intervista in cui ha raccontato cosa l’ha spinta a unirsi alla Resistenza. 

Tratto dal sito "Inchiesta online"

Non è semplice da dire perché sono cose che avvengono nei contesti in cui si vive. C’è stato un evento che ha suscitato in me una riflessione politica che poi mi ha portato a fare la Resistenza, la staffetta e poi ad essere partigiana combattente con grado di sottotenente addirittura. La mia famiglia era una famiglia antifascista ma non militante. L’evento che proprio mi ha spinto a mettermi contro è stato che una mia compagna di scuola che si chiamava Ester a un certo momento non è più venuta a scuola. Mia sorella e io – perché anche la sorella di questa mia compagna di classe non era più andata a scuola – siamo andate a casa per portare i compiti. La domestica ci ha detto che non servivano i compiti perché tanto non sarebbero più venute a scuola. Noi chiedemmo perché e lei ci rispose: “Perché sono ebree”. E io non capivo cosa volesse dire. Tant’è che tornando a casa con mia sorella dicevo: “Non sarà mica una malattia infettiva essere ebrei, perché non possono più venire a scuola?”. E poi, a tavola, domandammo a nostro padre e lui disse che era vero e che avevano fatto una legge per cui potevano andare a scuola solo gli ariani. Allora chiesi chi fossero gli ariani e mio padre rispose: “Mi vergogno, ma siamo noi”.

Da lì cominciò una riflessione. Io capii improvvisamente, repentinamente e per tutta la vita cosa fosse il razzismo. Razzismo vuol dire rendere una persona colpevole per essere quell che è e non per quello che ha fatto. Perché se un ebreo ruba è un ladro, ma perché ruba non perché è ebreo. Essere ebreo non è un reato, così come non è un reato essere rom, essere qualsiasi oggi si aggiunga al rinascente razzismo. Con questo comincia ad interessarmi di più di politica, che era una cosa però vietata. E quando, dopo l’8 settembre, mio padre fu preso e portato in campo di concentramento in Germania e noi eravamo sfollati pensai che dovevo fare qualcosa. E allora andai a cercare il mio vecchio professore di greco, quello di filosofia e quello che insegnava religione, tutti palesemente antifascisti, e chiesi di entrare nella Resistenza. E loro mi chiesero: “Ma sai cosa fai?”. E io risposi che sì, lo sapevo e sapevo anche che sarebbe stato pericoloso. E dopo cominciai la staffetta. E avevo molta paura. Non voglio dare l’immagine eroica della resistenza. Sono convinta che sia il coraggio a vincere la paura e non il non avere paura. Mi sono trovata in tante situazioni in cui la paura era tanta ma sono sempre riuscita a vincerla e a fare tutto quello che mi veniva chiesto tranne portare armi. Io dissi che non volevo essere armata. E quando mi dissero che potevano addestrarmi io risposi che non volevo imparare perché pensavo che sarebbe stato meglio non aver mai imparato a sparare nella pancia di nessuno.

Dico, a lode della resistenza, che questa, che oggi si chiamerebbe obiezione di coscienza, e allora non sapevamo nemmeno si chiamasse così, era pienamente accettata. Perché la resistenza anche quando è armata, non è un movimento militare, è un movimento politico. Nessuno può ordinarti di fare quello che non vuoi fare. Perciò la resistenza italiana è stata un enorme movimento di presa coscienza politica. Il primo atteggiamento non di sudditanza è stato lì. Quando si dice ‘la Costituzione è figlia della Resistenza’ si dice una cosa un po’ retorica ma è vero in questo: che tu hai fatto nella condizione più disperata, più difficile, tra i pericoli nazifascisti, la fame, i bombardamenti, insomma nel peggio del peggio della guerra, tu hai fatto una scelta conservando un margine di libertà, di autodeterminazione e di decisione. Per questo sono contenta di aver fatto tanti chilometri da poter dire che nel ’45 ho fatto il giro d’Italia. Anche perché spesso è stata l’ironia a permettermi di affrontare i momenti di paura”.