C’è un collettivo che ha preso l’acronimo di questa frase come identità: n.i.n.a. e ci spiega il perché
Capita a tutt*di navigare a zonzo fra i contenuti delle bolle che qualche volta ci lasciano passare qualche contenuto altro. Molti li banno, sono contenuti che l’algoritmo del caso sceglie in base alla mia età e ai miei interessi, ma in maniera stupida. Per esempio: mi piacciono gli stand up, il che non significa che ami le barzellette. Mi piacciono anche attori e attrici, il cinema, ma non il gossip. Insomma; se non li banno son più prolifici di una coppia di conigli e si moltiplicano causando un impoverimento spesso becero e volgare del mio scroll (e che noia ‘sto scroll, quanto tempo mi ruba…).
n.i.n.a. Né intelligente, né artificiale è una bella scoperta che ho preso dalla bacheca di Gabriele, vecchio compagno e amico. I venti passi di n.i.n.a. sono una lettura agile e sintetica, non un trattato che è stato diviso da chi li ha redatti in tre parti: Perimetro della discussione, Considerazioni politiche, Rivendicazioni, in una tripartizione che mi mette a mio agio, perché delimita il campo, lo rende oggetto di speculazione e però non si ferma e propone azione.
Qui mettiamo i venti passi, tanti sono i paragrafetti compresi nelle tre sezioni, di n.i.n.a.
Il tema dell’intelligenza artificiale sta prendendo piede nelle mie vicende quotidiane. Un amico spagnolo, mesi fa, mi ha costruito un’immagine con bei vestiti e i capelli che ho perso ormai vent’anni fa. Divertente. Ma al di là di quattro risate, il mio amico José Luis è un forte sostenitore per il suo mestiere, quello del grafico. Le funzioni che tutti possiamo vedere e praticare hanno un discreto effetto wow iniziale per poi finire nella noia del già visto. Prendo un pezzetto di foto e l’AI mi ricrea tutto il contesto prendendo da milioni di suggestioni che ha immagazzinato e così eludendo la questione del diritto di autore. Non c’è dubbio che per la grafica si tratti di uno strumento veloce, intuitivo e anche utile nel salvare ore di lavoro. Qualche settimana dopo preso da curiosità ho chiesto a Chat gpt di scrivermi il testo di un podcast sulla sostenibilità. Il risultato si immaginava anche un ospite in studio, il tutto reggeva alla perfezione, comprese le risposte dell’ospite. Cosa mi mancava? pensavo leggendo e scorrendo le parole. Mi mancava il fatto di averlo pensato, scritto, corretto, discusso. Quanto tempo avrei impiegato in più? Esattamente il tempo dell’apprendere dall’attività di organizzare, discutere, finalizzare. Ah beh, mi immagino già la replica: ma se non te ne frega nulla e lo devi per forza fare, chi ti obbliga a spendere tempo sostanzialmente inutile? Il fatto è che io non so se sarò inutile. Per esperienza, cioè per i dati che ho accumulato nella mia testa, so che anche da lavori che mi si presentano come noiosi, o peggio, c’è spesso qualcosa che mi resta attaccato e che mi sarà utile in seguito.
Tutto ciò non fa di me un novello John Ludd, non chiamerò alla rivolta dei martelli che fracassino server, né mi oppongo allo sviluppo della tecnologia. Ci mancherebbe. Ma il passaggio dei venti passi di n.i.n.a. che dice: Dobbiamo rivendicare la trasparenza su quando vengono utilizzati i sistemi di intelligenza artificiale e che in una serie di ambiti le decisioni non siano automatiche ma mediate dall’essere umano, mi pare centrale. Che tipo di dati, quale trasparenza, che tipo di pregiudizi dovrò scontare per una programmazione che non abbia un controllo, normalissimo, delle fonti. Ci sono, invece, molti e molte che mi guardano male e che pensano di avere davanti un pericoloso dinosauro: tanto il progresso mi spazzerà via. Questo non lo so, perché quello che mi pare interessante di questo dibattito, che ahimè non avviene a bocce ferme, ma mentre l’AI ci sta già portando via terreno sotto ai piedi, è che possiamo pretendere. Pre, prima. Dobbiamo avere la possibilità di dire la nostra, prima che tutta una serie di meccanismi scompaia dentro la generazione algoritmica spacciandosi per verità inconfutabile, o difficilmente confutabile. Il tema di fondo, come al solito nell’era del capitalismo perenne, è quello del profitto.
E allora? Cosa meglio di andare a trovare il collettivo di n.i.n.a.?
Ci ho messo alcuni messaggi e un paio di appuntamenti, ma poi eccoci a un tavolino, con birre e altro, oltre al caro registratore. Quello che siamo detti, le loro risposte, sono qui sotto, nel podcast. Ah, n.i.n.a. arriva dal titolodi un libro che il collettivo ha scelto come testo di riflessione, fra gli altri, scritto da Kate Crawford.