Il Grande Re. Storie lungo gli argini del Cambiamento climatico

Con Il Grande Re di Cecilia Fasciani, il lavoro inedito scelto nel 2022 dalle giurie dei pitching di Meglio di un romanzo per essere sviluppato sul sito di Festivaletteratura e sulla rivista Q Code Magazine, navigheremo lungo il corso del Po fino alla tarda primavera del 2023, attraversando quattro regioni italiane alla scoperta delle realtà che vivono oggi sugli argini del grande fiume. Sarà un viaggio in cinque puntate, dalle terre alte al delta, tra memorie d’acqua, crisi ambientali e storie di adattamento.


IL GRANDE RE. STORIE LUNGO GLI ARGINI
DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
di Cecilia Fasciani

“Cara mamma, ho omesso di scrivere per due giorni, ora immagino sia meglio rimettersi in pista. Siamo stati così occupati ultimamente che non mi sento molto di scrivere la mattina quando rientro. Ho volato di nuovo due volte ieri, ora sono alla missione numero 100. […] Per adesso penso di aver detto tutto quello che potevo, così dì a tutti che li saluto e di non lavorare troppo. Tuo figlio, Archie”. Scriveva così il Capitano Arthur E. Halfpapp il 22 aprile 1945, in una delle numerose lettere che inviava alla sua famiglia durante la guerra. Unico figlio maschio con sei sorelle, teneva uno scambio epistolare quasi quotidiano. Il 24 aprile dello stesso anno, l’aereo P-47D pilotato dal Capitano Halfpapp decolla per una missione nella zona dell’Adige, insieme a una pattuglia. Durante la sua missione numero 103, l’aereo viene colpito e abbattuto al suolo e Arthur Halfpapp muore all’età di 23 anni. Nel dopoguerra il giovane della Pennsylvania viene registrato come disperso, i suoi genitori arrivati dagli Stati Uniti devono tornare a casa a mani vuote. Solo nel 2014, grazie alla collaborazione con il Museo Della Seconda Guerra Mondiale del Fiume Po, gli archeologi individuano una massa metallica a diversi metri di profondità, nell’area di Guarda Ferrarese. Il 14 aprile del 2016, la cerimonia funebre in onore del pilota dell’USAAF viene celebrata nel cimitero militare Indiantown Gap National. Finalmente, il giovane Archie è potuto tornare a casa. Quella di Arthur E. Halfpapp è solo una delle infinite storie in cui ci si imbatte camminando lungo il grande fiume. Sono storie nascoste, che non penseresti di conoscere ascoltando il silenzio che oggi impera lungo i suoi argini, rotto solamente da qualche abbaio di cane, dal batacchio di una campana, o dal motore di una barca. Guardando le foto che si trovano presso il Museo di Felonica, si può notare come nella primavera/estate del 1945 il Po viveva una stagione di grave siccità, molto simile a quella che ha attraversato durante il 2022. C’era ancora molta sabbia su entrambe le sponde. Quando si pensa a un fiume così grande, è difficile immaginare di riuscire a raccontare anche solo una piccolissima parte della sua storia. Meglio rassegnarsi sin da subito, e scegliere un punto di vista. In questo reportage è stato scelto il cambiamento climatico come prospettiva dalla quale cercare di capire come è mutato il Po e la società che gli ruota attorno negli ultimi decenni, e di conseguenza quali tra le tante storie che gli appartengono scegliere di narrare. Storie lungo gli argini del Cambiamento climatico, appunto, dalle sorgenti del fiume fino al delta, in cinque episodi che costituiscono la struttura di questo reportage.

Il Grande Re, il dio fluviale figlio di Oceano e Teti, chiamato Eridano dagli Antichi Greci, sgorga come una fontanella sull’altopiano denominato Pian del Re. Lì la mancanza d’acqua non viene percepita, ma c’è un altro grande problema: la scarsità di neve durante l’inverno, che comporta la carenza di riserve d’acqua nelle stagioni successive. Una storia che ha a che fare con l’epoca in cui viviamo oggi, l’“Antropocene”. Uno dei processi storici, economici e sociali più importanti che l’Italia ha vissuto, e che oggi si incrocia con quello del cambiamento climatico anche da un punto di vista geografico e demografico, è sicuramente lo svuotamento delle aree montane e di alta collina avvenuto nel Dopoguerra. All’inizio del ‘900 in Italia vivevano circa 30 milioni di persone, da sud a nord, distribuite su tutto il territorio nazionale. Oggi la popolazione è raddoppiata, il censimento del 2021 conta quasi 60 milioni. Durante gli anni del cosiddetto boom economico, delle grandi industrie e delle città che diventavano metropoli, la vita in pianura rappresentava un’attrattiva molto forte per il lavoro, il riscaldamento in casa, i nuovi servizi facilmente accessibili. L’Italia si concentrò nei bassopiani, abbandonando le terre alte, che divennero zone con mancanza di quegli allevatori, contadini e agricoltori che da sempre custodiscono e sostengono il territorio: i pochi rimasti aggrappati a ciò che era, le macerie del passato. Anche se la definizione di “aree interne” viene formulata solamente nel 2012 dall’allora ministro della Coesione Sociale Fabrizio Barca, si comprende come essa sia una fotografia di un processo lunghissimo. Ad Ostana, in Occitania sulle Alpi Occidentali, a 1250 metri sopra il livello del mare, alla fine degli anni ‘90 erano rimasti in cinque. Il piccolo paese è una finestra che si affaccia sul Monviso, il Re di Pietra tra le cui valli nasce il fiume più lungo d’Italia: anche se le temperature in maniera evidente non sono più quelle degli anni ‘50, l’inverno in queste zone è ancora molto duro, soprattutto per quelli che decidono di tornare a vivere nel paese, che negli ultimi venti anni ha visto il processo invertirsi. Nel 2016 è nato per la prima volta un bambino. Ed è proprio da queste nuove persone, che fanno rinascere un paese di montagna demograficamente morto, che comincia questa storia. Oltre ad un rifugio, una cooperativa di comunità, un co-working, una panetteria, una biblioteca, una merenderia per i viaggiatori, uno spazio in comune, c’è anche un centro di ricerca universitario sui fiumi alpini. Si chiama AlpStream, ci sono professori e studenti che da Torino e tante altre università e centri di ricerca vanno ad Ostana per lavorare sui fiumi alpini e il cambiamento climatico.

Un altro concetto cruciale a cui si fa spesso riferimento quando si parla di surriscaldamento globale è l’adattamento. Durante la gravosa siccità degli scorsi mesi, diverse regioni hanno dichiarato lo stato di emergenza, mentre la mancanza d’acqua ha minacciato i raccolti della Pianura Padana, da cui proviene circa il 40% del cibo del Paese. La questione del cibo e dell’agricoltura è e sarà a dir poco centrale nelle politiche di adeguamento a questa nuova era. Ma ci sono già diverse esperienze che da molti anni lavorano per tentare di adattarsi, utilizzando nuove tecnologie che possono migliorare anche il rapporto stesso tra essere umano e natura. Adaptation infatti non significa lasciarsi andare all’inevitabilità delle azioni umane, ma cercare di studiare possibili modalità e attitudini di miglioramento nelle colture, affinché diventino più resistenti al caldo che aumenta ogni anno di più, per sprecare meno acqua. Il Centro di ricerca genomica e bioinformatica del CREA, a Fiorenzuola d’Arda è stato inaugurato nel 1990 ma è figlio di istituti che lavorano nel campo della ricerca genetica e genomica addirittura dagli anni ’20. La cerealicoltura rappresenta il “core business” del Centro, con particolare attenzione all’orzo che è il cereale sul quale i ricercatori piacentini vantano la più lunga tradizione di studio. Dal 2012 si studia l’effetto dell’aumento dell’anidride carbonica sulla crescita del frumento, esponendo il campo sperimentale ad un’atmosfera contenente circa 570 ppm di co2, ossia la concentrazione attesa per il 2050.

Oltre queste ricerche scientifiche, ci sono delle persone che conoscono il grande fiume meglio di chiunque altro. Ne misurano la temperatura, la profondità, capiscono immediatamente se c’è qualcosa che non va per il verso giusto. Tutti i giorni escono con la loro barca e percorrono il tratto di Po di loro competenza per effettuare misurazioni del fondale e assicurarsi che la segnaletica per la navigazione sia posizionata correttamente. È il lavoro dei meatori, le sentinelle del Po. Mentre in alcuni punti il fondale ha toccato i 50-60 centimetri di altezza durante la secca, che rappresentano un livello di allerta e una profondità che non può assolutamente consentire la navigazione, le sentinelle hanno continuato il loro lavoro, a stretto contatto con il fiume. A Boretto, Reggio Emilia, gli addetti dell’Agenzia Interregionale per il fiume Po svolgono questa e tante altre attività cruciali per la sua salvaguardia. Con l’arrivo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la sfida è quella di migliorare i livelli di depurazione delle acque, di mantenere una quantità di flusso sufficiente e di innescare il recupero morfologico del suo corso. In breve, il tentativo è quello di restituire al fiume tutto quello che ha dato alle popolazioni che abitano in prossimità dei suoi argini negli ultimi decenni.

Proprio durante questa grande siccità, ad aprile 2022 vicino Reggio Emilia, nei pressi dell’Isola degli Internati – chiamata così perché, nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, il Comune di Gualtieri decise di affidare in gestione quel pezzo di terra ad un gruppo di uomini del paese che erano sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti – sono riaffiorate due navi affondate dai tedeschi durante la Guerra; non era mai successo in quel periodo dell’anno. In questo luogo molto suggestivo, l’acqua conserva elementi del passato che torna inesorabilmente ad affacciarsi sul presente, con i suoi resti e le sue conseguenze. Ma c’è un altro luogo dove questo avviene, ed è il Museo della Seconda Guerra Mondiale del Fiume Po, situato a Felonica. Tra i documenti del Museo si può leggere come “l’avvenuto attraversamento del fiume Po da parte degli eserciti anglo-americani, il 25 Aprile 1945, portò all’insurrezione dei Comitati di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia”. Il direttore e i volontari del museo lavorano quotidianamente per tutelare e portare avanti questo patrimonio comune, non solo conservando filmati, foto, documenti e cimeli originali riconducibili al periodo che va dal 1944 sino all’Aprile 1945, quando l’arrivo del fronte da sud impose ai tedeschi un drammatico superamento del fiume Po, seguito dal rapido e organizzato attraversamento da parte anglo-americana, ma seguendo anche un’importante opera di ricerca e divulgazione.

Arrivando a destinazione, si può subito notare come oggi il Delta del Po sia un luogo molto diverso da come grandi scrittori, fotografi, sceneggiatrici e sceneggiatori lo descrivevano nei decenni passati. Alla sua foce gli effetti del surriscaldamento globale sono evidenti: il cuneo salino, provocato dall’avanzata del mare per più di dieci chilometri verso l’interno, ha conseguenze negative sull’equilibrio naturale di quei territori, e provoca un effetto di straniamento che oggi verrebbe definito solastalgia. Neologismo coniato nel 2003 dal filosofo australiano Glenn Albrecht, questo termine indica il sentimento di nostalgia che si prova per un luogo nonostante vi si continui a risiedere. Questo particolare stato emotivo si manifesta quando il proprio ambiente viene alterato da mutamenti più o meno repentini che esulano dal nostro controllo, come gli effetti del riscaldamento globale. Chissà se questa forma di nostalgia fosse simile a quella del Capitano e aviatore Arthur E. Halfpapp, mentre sorvolava in missione i cieli sopra il Po, con il pensiero verso la sua Pennsylvania, verso quei genitori e quelle sorelle che, a causa di eventi più grandi di loro, avrebbero perso un figlio, un fratello, un giovane ventitreenne con tanta sete di futuro.


  • * La storia del Capitano Arthur E. Halfpapp è tratta dal libro di Franco Gualtieri Alla ricerca dell’Anima. Storie del Museo della Seconda Guerra Mondiale del Fiume Po di Felonica (ed. Sometti, Mantova 2018), donatomi gentilmente dai volontari del Museo Della Seconda Guerra Mondiale del Fiume Po.
  • ** La cartina e la foto d’epoca nel video di presentazione fanno parte dell’archivio del Museo Della Seconda Guerra Mondiale del Fiume Po, e sono state gentilmente messe a disposizione per questo progetto.

Per maggiori informazioni: tel 0376.223989; megliodiunromanzo@festivaletteratura.it;