Imboccando un sentiero sterrato nel villaggio di Bryukhovychi, alle porte della città di Leopoli, nell’Ucraina occidentale, ci si imbatte in una casetta con il tetto marrone spiovente e le mura scrostate colore rosa spento. Qui, tre signore anziane: Kateryna, 81 anni, Halyna, 75, e Lidiya, 69. Convivono insieme per sostenersi reciprocamente e ammortizzare le spese del cibo e dell’affitto. Provengono dalle regioni dell’est e del sud dell’Ucraina e le loro vite si sono intrecciate dopo il 24 febbraio del 2022 con l’inizio dell’invasione russa su larga scala. La guerra, infatti, le ha costrette allo sfollamento nella parte occidentale, meno colpita dai bombardamenti rispetto al resto del paese.
Kateryna è la più anziana, ma tra le tre signore è quella più energica. Forse perché è rimasta sola troppo presto e non può permettersi di lasciarsi andare, la sua vecchiaia dipende solo da se stessa. Viene da Rubizhne, Luhansk, territorio del Donbass, attualmente occupato dalle truppe russe e porta con sé il peso di un’esistenza segnata dalla perdita: il marito, la figlia e i suoi due fratelli sono morti.
I bombardamenti poi, le hanno portato via l’ultimo affetto che le era rimasto: la propria casa. «Sai perché Putin ha voluto questa guerra?». Chiede senza attendere risposte. «Luhansk, Donetsk, Zaporižžja, Kherson sono regioni ricche, ricche! Piene di risorse minerarie, è questo quello che vuole».
Due cose la rendono particolarmente fiera: l’essere soppravvissuta ai bombardamenti e il lavoro per quarant’anni, nello stabilimento chimico – militare sovietico, Zorya. «Sono rimasta tre settimane sottoterra negli scantinati», afferma con orgoglio, alzando il mento e indicando il petto: «I bombardamenti erano continui e ci nascondevamo tutti li, c’erano bambini e famiglie intere. Sono arrivati dei volontari ad evacuarci perché era troppo pericoloso continuare a restare».
Per tutto il resto Kateryna cade nell’abisso di un’esistenza di cui fatica a trovare un significato: «Che senso ha ancora la mia vita?», domanda, muovendo le mani verso l’alto per poi portarle al volto e coprire la commozione del momento. «Non mi è rimasto niente, non ho neanche più una casa dove tornare dopo la guerra».
Halyna e Lidiya sospirano in silenzio quando Kateryna racconta la sua storia, entrambe rivolgono lo sguardo verso la coinquilina e l’ascoltano, nessuna la interrompe. Tra loro c’è una comprensione reciproca, una vecchiaia segnata dallo sfollamento, una vita che si complica proprio nel momento in cui si dovrebbe semplificare.
«Le visitiamo regolarmente una volta a settimana», spiega Caterina Rigo, attivista di Mediterranea Saving Humans, attiva a Leopoli per offrire supporto medico e umanitario in dodici luoghi di accoglienza per sfollati di guerra. Tramite i volontari, l’associazione effettua visite mediche alle signore e le rifornisce di cibo e altri beni di prima necessità. «Oltre all’aspetto sanitario, l’esigenza che abbiamo riscontrato è il bisogno di chiacchierare, passare del tempo insieme che possa aiutarle ad estraniarsi dalla loro situazione», aggiunge Rigo.
La ricerca di un alloggio
Secondo il rapporto dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) attualmente gli sfollati interni in Ucraina con più di sessant’anni sono 699.000. Tra le sfide più complesse per gli anziani, nel momento in cui perdono le loro case a causa della guerra, c’è la ricerca di un alloggio . «Nella regione di Leopoli le pensioni geriatriche sono sovraffollate e mancano delle strutture adeguate che possano prenderli in carico», spiega Olha Shved psicologa e coordinatrice dei volontari di Medical Psychology Lviv, progetto attivo nella stazione della città di Leopoli da febbraio 2022 e che si occupa di registrare gli sfollati sul territorio, offrendo inoltre un sostegno psicologico, informativo e beni di prima necessità.
«Attualmente molti anziani vivono nei rifugi temporanei», racconta Shved. Sono luoghi d’accoglienza stabiliti dalle amministrazioni locali e regionali dentro studentati, scuole oppure in edifici privati di case religiose e organizzazioni umanitarie. Questi alloggi sono gratuiti per gli sfollati o richiedono esigue cifre simboliche, ma ci sono limiti nella permanenza e potrebbero risultare scomodi per chi ha difficoltà motorie dato che lo scopo di progettazione iniziale delle strutture non era quello dell’accoglienza.
«Questo autunno in stazione, abbiamo registrato più di mille persone. Il 30% sono anziani soli, senza famiglia e senza documenti, alcuni hanno ancora quelli dell’Unione Sovietica», commenta Shved, sottolineando che la cifra è sottostimata perché molte persone non si registrano. «Non ricevono la pensione oppure sono molto basse e per l’assistenza fanno affidamento esclusivamente agli aiuti umanitari», continua la psicologa. «Tramite i nostri partner internazionali offriamo agli anziani in situazioni sociali critiche la possibilità di andare all’estero in strutture dedicate. Perché qui non ci sono risorse, vengono organizzati dei pullman per la Germania, l’Olanda, la Svezia, la Norvegia», precisa.
Prima dell’invasione russa, il Ministero delle politiche sociali ucraino aveva stabilito a 4.666 grivne, 110 euro, il minimo dignitoso di sussistenza mensile pro capite. La metà dei pensionati però riceve cifre ben al di sotto di questa soglia: il 51% meno di 4.000 grivne, 96 euro al mese. Inoltre, l’inflazione dovuta alla guerra ha colpito pesantemente il mercato degli affitti, soprattutto le regioni occidentali dell’Ucraina che attualmente ospitano 594.000 sfollati, ma che dall’inizio dell’invasione russa hanno visto transitare milioni di persone in fuga dalla guerra. Affittare un appartamento è diventata una soluzione abitativa inaccessibile per le fasce con meno risorse.
L’alternativa è la convivenza, Kateryna, Lidiya e Halyna hanno optato per questa opzione dopo aver cambiato ripetute sistemazioni. «Alloggiavo in un dormitorio comune nella palestra di una scuola a Leopoli», continua Kateryna, arrivata in città ad aprile del 2022, «poi mi hanno parlato di una sistemazione migliore a Bryukhovychi e mi sono trasferita. Lì ho conosciuto Halyna, ma la struttura ha smesso di ospitare persone quindi abbiamo trovato questa casa».
Nonostante i cambiamenti, ora le signore sono soddisfatte dell’equilibrio che hanno trovato anche grazie al supporto umanitario che ricevono. «Andiamo d’accordo e ci dividiamo i compiti nella gestione della casa», commenta Halyna che con la sua schiena ricurva non riesce a camminare agilmente e per mantenere l’equilibrio si aggrappa ai mobili, alle porte, alle sedie, tutto quello che riesce a sorreggerla nei brevi percorsi tra le stanze.
Per loro la convivenza è necessaria, l’affitto di 9000 grivne al mese, circa 230 euro lo dividono con le loro pensioni. Quella di Kateryna, 6000 grivne, 140 euro, è la più alta, per le lesioni permanenti ai polmoni che il lavoro nell’industria chimica le ha causato. Lidiya ne percepisce 3900, 90 euro. Entrambe inoltre ricevono le 2000 grivne, 50 euro, di sussidi come sfollate interne predisposti dal governo.
Halyna invece prende 5000 grivne, 120 euro, di pensione, ma i sussidi non più: «Sono due mesi che non mi arrivano», rivela. Halyna è arrivata a Leopoli da Nikopol con il marito. Lui si è ammalato di Covid ed è morto un anno fa. Lei è rimasta.
«Fortunatamente ho una pensione. L’unico desiderio che mi è rimasto è che questa guerra finisca», conclude.
Situazioni precarie
Oltre alle persone che vengono indirizzate all’estero ci sono altre tipologie di situazioni che coinvolgono gli anziani che transitano per Leopoli, una categoria riguarda coloro che arrivano sui treni delle evacuazioni dai territori dove il conflitto è più intenso. «Sono gli ultimi ad andarsene dalle zone “rosse”, restano per controllare le proprie case e i propri beni per cui hanno faticato tutta la vita per costruirli», continua Shved. «In molti casi si tratta di anziani che non sono mai usciti dalla propria regione di nascita», precisa.
Quando arrivano la loro situazione sanitaria è spesso drammatica. «Hanno vissuto in situazioni precarie senza riscaldamento ed energia elettrica. I diabetici arrivano con numerose complicanze perché non hanno avuto accesso ai medicinali, altri con infezioni, malattie della pelle e in condizioni psicologiche compromesse».
Infine, ci sono i flussi di ritorno degli anziani che dall’estero tornano in Ucraina o che da Leopoli decidono di tornare nelle loro case anche se si trovano in zone vicino al fronte e dove manca luce, acqua e riscaldamento: «Questa è un’altra categoria, sono consapevoli del rischio ma qui non riescono ad adattarsi e quindi vogliono tornare nelle loro case, per chi le ha ancora o nelle regioni dove sono cresciuti. Per ognuna di queste situazioni con i nostri psicologi abbiamo creato un approccio specifico per ascoltare al meglio le loro esigenze», dice Shved.
Nonostante alcuni tornino, per gli anziani arrivati nell’Ucraina occidentale, senza famiglia e ai quali i bombardamenti hanno distrutto le loro case, vivere in questa parte del paese potrebbe rappresentare l’unico futuro: «È un problema che ci stiamo ponendo, come tutto quello che riguarda gli anziani sfollati, ma per adesso non ci sono risposte. Ora la priorità del nostro governo riguarda l’aiuto militare. Un piccolo successo, è l’aver cominciato a riflettere sulla loro situazione e stiamo sollevando la questione con l’amministrazione regionale per pensare a delle soluzioni per sostenerli», conclude Olha Shved.