C’è un filo rosso che lega, come una collana di stelle marine, le isole della frontiera meridionale d’Europa. Dalle isole Canarie, a quelle greche dell’Egeo, passando per Lampedusa, si tesse un filo che tiene assieme realtà differenti, ma accomunate da un destino. Almeno questo è quello che hanno pensato per loro le autorità dell’Unione Europea.
Penserete al turismo, e fate bene, perché sono tre realtà che – di base – di quello vivono al tempo del viaggiare di massa e low cost, con un’attività di pesca che tenta di sopravvivere, mentre tutto attorno è solo la parola ‘migranti’ che risuona, come un tamburo di guerra nella notte, che allerta su inesistenti invasioni, che chiama alla ‘guerra’ opinionisti che quelle isole, spesso, non le hanno viste mai. Si crea un effetto assordante, un silenzioso frastuono, che rende queste isole delle Fortezze Bastiani per una narrazione, ma distopica, perché ormai su quelle isole i migranti neanche si vedono più. Come è raccontato in questo speciale di Q Code, esiste una geografia dell’invisibilità, legata all’idea che queste isole diventino la camera di decompressione tra le due uniche politiche che ancora oggi l’Europa è in grado di produrre: esternalizzare le frontiere e rendere sempre più feroci – e letali – i confini. Sulle isole, però, nessuno li vede più, nessuno ci parla, nessuno ascolta le loro storie. Perché arrivano, vengono rinchiusi ed espulsi verso un altrove. Le isole fanno il lavoro sporco, i governi pagano, il turismo è salvo. Ma resta quella polaroid ingiallita, quella cartolina dal passato, che racconta gli ‘sbarchi’. Oggi le isole in Spagna, Italia e Grecia hanno questa funzione: sono un centro di concentrazione, per gestire i flussi, senza far neanche un passo per superarli, affrontando le questioni che nei contesti di partenza generano gli stessi. L’importante è non vedere, rendere trasparenti, disumanizzare, confinare a meri numeri esistenze, sogni, talenti. Le isole diventano laboratori politici, come lo sono state in passato, in quel rapporto confini/confinati che accompagna da sempre i margini, le periferie del potere e dei territori. Questo speciale racconta le Canarie, Lampedusa e Lesbo, racconta quella geografia dell’invisibilità nella quale non ci sono mappe e rotte, ma solo una volontà di cancellare e concentrare, vite e corpi.
I TRE REPORTAGE
LAMPEDUSA, TRA IL MARE E IL CIELO
di Christian Elia
Ad aprile, in 48 ore, sono arrivate 800 persone a Lampedusa. Appena le condizioni del mare lo hanno concesso, in una primavera di venti taglienti e potenti, di temperature basse, di mare in tempesta, i barchini dei disperati si sono lanciati in mare. Ma nessuno li ha visti.
Da tempo, ormai, la parola ‘sbarchi’ ha mutato di senso, da tempo quella sorta di brand mondiale rappresentato da Lampedusa è cambiato profondamente, senza lasciare il tempo a un giornalismo pigro – italiano e internazionale – di riflettere sui cambiamenti.
A Lampedusa, in Contrada Imbriacola, c’è un CPSA, un centro di Primo Soccorso ed Accoglienza. La sovranità, però, non lascia alcuno spazio alle autorità locali, anzi, ma è detenuta dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione / Direzione Centrale dei Servizi Civili per L’immigrazione e L’asilo del Ministero degli Interni italiano. Come il Molo Favaloro, simbolo mondiale – per anni – di accoglienza e solidarietà. Oggi solo dal porto si possono vedere le sfilate di persone, sotto strutture fatiscenti, dove polizia e organizzazioni di soccorso attendono i migranti portati a riva dalle unità di soccorso in mare.[…]
LESBO, GLI INVISIBILI
di Federica Tourn
Una donna infagottata in un giaccone troppo grande spinge un passeggino carico di borse sulla strada che dal campo profughi porta alla città. Tiene lo sguardo basso, concentrata nello sforzo, senza guardare il mare che luccica indifferente al suo fianco; sullo sfondo la Turchia è così vicina che ti pare quasi di poterla toccare. Come lei, altre figure simili a fantasmi risalgono lente verso la fermata del bus o dirette a un centro di distribuzione di vestiti; sono famiglie, gruppi di adolescenti su vecchie bici, uomini soli. Un ragazzo siriano trascina una sedia a rotelle: è per sua madre che ha problemi alle ginocchia, dice, e sorride gentile sotto la mascherina. Parla male l’inglese ma se gli chiedi come si sta al campo, scuote la testa e arriccia il naso in un’espressione inequivocabile. Al campo non c’è l’acqua calda e l’elettricità va e viene; si sta esposti al vento e se piove il terreno pietroso si trasforma in un acquitrino fangoso, ma il peggio non è quello, assicura Kamel, arrivato fin qui dal Camerun per vedersi respinta per ben due volte la richiesta di asilo. Il peggio è ancora l’incertezza del futuro che qui, al fondo dell’Europa, è sempre più blindato.[…]
LA RUTA CANARIA: MIGRAZIONI DISPERATE
di Rachele Renno e Francesco Fusi
28°19’N e 16°34’W
Sono le coordinate di Tenerife, la seconda più grande delle isole Canarie, un luogo vulcanico quanto esotico, appartenente alla Spagna, ma a pochi chilometri di distanza dalle coste del Sahara Occidentale. Nelle sue corde Tenerife ha un’anima mista, risultato delle grandi migrazioni che dall’isola partirono verso il Sud America nel 1950, in special modo verso Cuba e Venezuela. Non a caso il Venezuela è chiamato dai canari “l’octava isla” e l’autobus, a Tenerife, è chiamato guagua, come a Cuba. Negli ultimi anni, con il boom dell’industria del turismo, l’isola è cambiata radicalmente, presa d’assalto dai visitatori soprattutto del nord Europa. […]
INVISIBILI
Il portfolio di Luca Musso sulle isole greche