La luce del sole sulla pietra bianca costringe a socchiudere gli occhi. Sulla scogliera qualcuno nuota anche se è febbraio, altri prendono il sole. Sembra tutto calmo, quasi fuori dal tempo. Siamo sull’isola di Ortigia, nel centro storico di Siracusa, dal 2005 riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Distesa sullo Jonio per circa un chilometro, Ortigia ha due porti naturali tra i più antichi del Mediterraneo. È collegata al resto della città dai ponti Umbertino e Santa Lucia e suddivisa in tre zone principali: Graziella, Giudecca e Castello.
«Quando tornai dal collegio non avevo più la residenza a Ortigia, mi sentivo spaesato, chiedevo a mamma perché ce ne fossimo andati». Così Damiano Midolo, 25 anni, racconta il trasferimento forzato della sua famiglia.
Nel 2006 l’affitto della casa in corso Matteotti, via centrale di Ortigia, aumenta da 200 a 900 euro. Non potendo pagarlo, la famiglia si trasferisce nella parte nuova della città.
«Ero triste perché non conoscevo nessuno, tutti i miei amici erano a Ortigia» continua il giovane. «Il mio sogno è poter tornare a vivere lì, ma non me lo posso permettere, le case sono troppo care». La storia di Damiano è la storia di tanti che fino ai primi anni duemila vivevano a Ortigia e poi, con la ristrutturazione degli immobili e l’aumento progressivo degli affitti, sono stati costretti a migrare nella parte nord della città.
«Il problema», ci dice Angelo Cappuccio, pescivendolo del mercato, «è la mancanza dei residenti. Negli anni ‘70 Ortigia aveva trentacinque mila abitanti e i clienti del mercato erano principalmente siracusani. Oggi sono poco più di tremila e d’inverno la città è morta». I colori della frutta fresca sulle bancarelle, il ghiaccio sui banconi del pesce, l’odore di basilico e menta, le grida degli ambulanti che offrono la propria merce, l’aria di festa, di cui ci parla Vittorio Mirabella, cliente della pescheria Cappuccio, oggi lasciano spazio a saracinesche chiuse, di ristoranti aperti solo nei mesi estivi. Qualcuno dai banchi del mercato “vannia” ancora per attirare clienti, ma, come dice Salvo Salerno, «il loro è un canto di cicale, che nei mesi estivi festeggiano e in quelli invernali piangono».
«Da quando il mercato è morto anche via Mastra Rua è morta. Prima qui vivevano le famiglie, adesso sono tutte case vacanza. Ci sono giornate in cui non viene nessun cliente», ci racconta Enza Sorano, proprietaria di una bottega vicino al mercato. «A gennaio e febbraio potremmo chiudere perché non si lavora», così Corrado Sororo, barbiere in via Roma dal 1970. «Quando ero giovane venivano clienti anche dal resto della città, poi hanno tolto sia il capolinea dei bus dove adesso c’è il grand hotel (ex palazzo delle poste), sia il servizio barche che da Siracusa portava a Ortigia, hanno istituito l’isola pedonale e questo ha influito negativamente sulla vitalità del quartiere».
Roberto De Benedictis, assessore al centro storico dal 1994 al 1998, spiega che «nel ‘90 fu attuata la legge speciale per Ortigia con l’intento di ripopolare l’isola. La legge prevedeva incentivi economici per la ristrutturazione di palazzi pubblici e privati. In più Siracusa riuscì a inserire Ortigia tra i beneficiari del primo piano Urban europeo. Alla fine degli anni Novanta la città si trovò quindi con una cospicua dotazione di fondi per il recupero del centro storico e della sua comunità». Quei fondi, pensati anche per mantenere la popolazione residente, hanno avuto un effetto imprevisto. Come spiega Salvo Salerno, dirigente del servizio turistico regionale di Siracusa: «Il tipo di fascia sociale che tornò a Ortigia era differente rispetto ai residenti storici, si trattava infatti di un ceto medio-borghese. A causa dell’aumento del costo delle abitazioni i ceti popolari furono costretti a spostarsi fuori dal centro storico in zone di nuova edilizia popolare».
Roberto De Benedictis, inoltre, racconta che, «all’interno di questo clima di rinascita economica, lo sviluppo turistico fu repentino perché l’amministrazione comunale lasciò mano libera ai privati nella gestione dell’economia urbana, autorizzando la vendita di edifici pubblici, come lo storico palazzo delle poste, a privati che ne fecero strutture ricettive. Adesso, per esempio, al posto del palazzo delle poste c’è un grand hotel a 5 stelle» conclude. «Nel giro di poco tempo anche chi aveva comprato casa negli anni ‘90 adibì le proprie abitazioni a case vacanza, allontanandosi o allontanando chi ci viveva» continua Salvo Salerno. In seguito allo sviluppo turistico, la tendenza inaugurata alla fine degli anni Novanta si è consolidata negli anni successivi. La popolazione residente a Ortigia è diminuita ancora del 12 per cento tra il 2010 e il 2020, secondo il sito del comune di Siracusa. Inoltre, secondo i dati di Immobiliare.it, dal 2015 il prezzo delle case per metro quadro è aumentato di circa il 42 per cento.
«La qualità della vita dei residenti inevitabilmente si è abbassata, per la zona a traffico limitato, per i locali, per la tipologia di servizi. Ci sforziamo il più possibile di trovare un equilibrio tra la qualità della vita pubblica e l’indispensabile sviluppo turistico di Ortigia».
Secondo Roberto De Benedictis «l’amministrazione comunale non ha fatto nulla per arginare la speculazione su Ortigia». Nel 2007 per esempio il comune ha approvato il progetto di un porto turistico nel cuore di Ortigia. Ce ne parla l’avvocato Corrado Giuliano: «Il progetto del porto turistico fu presentato dal gruppo Caltagirone, e prevedeva lavori su un’area di 147 mila metri quadrati, 50 mila dei quali in riva al mare». Di quel progetto oggi resta soltanto una colata di cemento in mare lunga 150 metri. L’attuale sindaco Francesco Italia ammette che «la qualità della vita dei residenti inevitabilmente si è abbassata, per la zona a traffico limitato, per i locali, per la tipologia di servizi. Ci sforziamo il più possibile di trovare un equilibrio tra la qualità della vita pubblica e l’indispensabile sviluppo turistico di Ortigia, però se metti le due cose sul piatto della bilancia capisci che devi sacrificare la prima in funzione di benefici più grandi sul lungo periodo e su vasta scala». Eppure i residenti intervistati non la pensano allo stesso modo: «La nostra tradizione si è completamente piegata alle necessità dei turisti. Quando il turismo finirà noi rimarremo poveri e pazzi in una città vuota!» così si sfoga Maria Vella, impiegata alla sovrintendenza. «Quando si fa una politica che beneficia solo i turisti succede che i residenti scappano», continua, «quando spariscono gli uffici, gli artigiani, i parcheggi, quando non ti consegnano la posta perché a causa dei dehors non c’è posto per fermarsi, diventa impossibile vivere».
A Ortigia non sono scomparsi solo i negozi storici, le botteghe, i giornalai, ma anche la guardia medica, che viene attivata solo in estate, il municipio e l’ufficio documenti. «Dove sta la cultura?» insiste Maria Vella. «Il teatro comunale è chiuso da anni, la biblioteca è in vendita, non c’è più un cinema. Anche le scuole sono scomparse». Di sei diverse scuole oggi ne è rimasta solo una. Melania Franzutti, impiegata nell’amministrazione provinciale per 43 anni, spiega che l’unica scuola è quella di via dei Mergulensi, che conta solo 150 alunni tra infanzia, elementare e medie. La vicepreside, Elisa Leuzzi, racconta la battaglia per riuscire a formare ogni anno almeno una sezione per classe. Dal 2016 al 2018 non c’è stata neanche una sezione di scuola media. «Dopo la pandemia si è riusciti a ricreare le classi grazie ai figli degli stranieri che hanno comprato casa qui per aprire ristoranti o strutture ricettive. L’utenza è molto cambiata. Non ci sono più i ragazzi di Ortigia», afferma.
Alcuni residenti hanno provato a restare e a reinventarsi. Il signor Di Noto per esempio, proprietario di una delle tre botteghe sopravvissute nell’isola, ha sostituito i beni di prima necessità con prodotti turistici. Anche Salvino Finocchiaro, edicolante di via Roma, oltre ai dischi e ai giornali oggi vende souvenir, mentre Marilia Di Giovanni nella storica libreria Mascali ora ha libri per stranieri. Tra rabbia, rassegnazione e tentativi di adeguarsi, sono nate anche alcune associazioni che provano a dar voce agli ortigiani. Ortigia Sostenibile è una di queste. Il suo rappresentante, l’avvocato Corrado Giuliano, racconta di battaglie come quella contro l’edificazione di un locale notturno nella piazza d’armi antistante il federiciano castello Maniace. O contro la privatizzazione della spiaggia di Cala Rossa, una delle poche spiagge libere di cui fruiscono tutto l’anno famiglie, locali e turisti. Anche il movimento civico Semi (sostenibilità, educazione, mobilitazione, integrazione), come racconta la libraia Marilia di Giovanni, ha chiesto pubblicamente al sindaco di limitare l’impatto delle attività turistiche sulla vita del quartiere e di «considerare la peculiarità del centro storico in tutte le scelte autorizzative». Secondo entrambi i movimenti, le risposte dell’amministrazione comunale sono state assenti o parziali. Ortigia resta, negli occhi di chi ci vive, una sorvegliata speciale, in attesa di capire il suo destino.
Scheda:
Dai dati sul numero dei residenti della città per ogni circoscrizione è possibile ricavare una serie storica del numero dei residenti di Ortigia in relazione a quello dei residenti a Siracusa. Se la percentuale di siracusani che risiedevano a Ortigia nel 1960 era del 31,6%, nel 2020 questo numero si è ridotto al 3,2%. Numeri più preoccupanti di quelli del centro storico di Venezia dove nel 1960 viveva il 41% dei veneziani, mentre nel 2020 solo il 20%. Nel decennio 2010-2020 i residenti in Ortigia sono diminuiti del 12%, mentre la popolazione complessiva di Siracusa si è ridotta solo del 2,9%. Più o meno negli stessi anni, 2010-2018, la popolazione residente nel centro storico di Venezia è diminuita dell’11%. I dati relativi ai flussi turistici in città mostrano una tendenza decisamente inversa: gli arrivi (numero di clienti ospitati) nel decennio 2009-2019 sono cresciuti del 47,4%, mentre le presenze (numero di notti trascorse dai clienti) del 18,3%.