Il 14 maggio, i cittadini turchi si sono recati alle urne per quelle che sono state definite tra le elezioni più importanti nella storia del paese. Milioni di giovani hanno votato per la prima volta e lo faranno di nuovo questa domenica 28 maggio, per il ballottaggio che determinerà il prossimo residente della Repubblica di Turchia.
Mentre i sondaggi avrebbero dato l’opposizione in vantaggio, i risultati delle politiche hanno confermato la maggioranza parlamentare in mano alla coalizione di partiti conservatori e islamisti guidata dall’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan. Per le presidenziali, nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta. La sfida è adesso tra Erdoğan, che ha ricevuto il 49,5% dei voti al primo turno, e Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito Repubblicano del Popolo (CHP) che alla guida di una coalizione di 6 partiti ha raggiunto il 44,8%.
Seduti in uno dei parchi di Gaziantep, tra una partita di calcio e uno spuntino, un gruppo di giovani turchi condivide pensieri, emozioni e opinioni su passato, presente e futuro del Paese prima dell’imminente seconda tornata elettorale. Poco più che ventenni, Yususf, Süleyman, Abdullah, Betül, Seyit e Ipek hanno idee politiche differenti, ma sono tutti originari delle province dell’est dell’Anatolia, zona caratterizzata da un elettorato tipicamente più conservatore. Ragazzi e ragazze cresciuti in questa parte della Turchia tra città industriali, piccole cittadine e villaggi di pastori, decidono spesso di muoversi nelle grandi città dell’ovest alla ricerca di opportunità, studiare, lavorare e condurre una vita più liberale.
Una Turchia giovane
«Sentivo l’atmosfera delle elezioni fino alle mie ossa, ma in questo momento credo che il risultato sia ben chiaro, l’opposizione non ha più credibilità», dice Yusuf, studente universitario di 21 anni, originario della città di Adıyaman. «Abbiamo tutti opinioni diverse, e sentiamo il bisogno di confrontarci gli uni con gli altri. Alcuni dei miei amici avrebbero votato per Muharrem Ince – leader del Partito della Patria nato due anni fa da una scissione in seno al CHP – prima che si ritirasse, altri sperano ancora in Kılıçdaroğlu, altri ancora preferiscono Erdoğan. In generale, nessuno di noi si fida dei politici, ma è nostro dovere prendere parte in questo processo, per costruirci un futuro migliore», aggiunge da Gaziantep Süleyman, 21 anni, compagno di corso di Yusuf.
I giovani formano una parte consistente dell’elettorato. L’età media della popolazione è di 31 anni e oltre 13 milioni di elettori appartengono alla generazione Z, ovvero il 20% su un totale di 64 milioni aventi diritto. Nelle elezioni del 2018 a votare per la prima volta erano circa 1 milione di ragazzi e ragazze, quest’anno sono invece ben 5 milioni.
Nonostante un diffuso sentimento di distacco dai partiti da cui si sentono scarsamente rappresentati, i giovani turchi non hanno dubbi nel confermare la loro presenza alle urne anche per il secondo turno, votare è percepito come un gesto importante di partecipazione.
«Le nostre famiglie hanno scelto il cambiamento 20 anni fa. Ora tocca a noi», dice Abdullah di 22 anni che da Ağrı si è trasferito a Gaziantep per studiare giurisprudenza.
L’economia tra una storia vecchia e una nuova
I giovani della generazione Z non hanno mai sperimentato qualcosa di diverso dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan. I loro genitori hanno visto nel presidente in carica una speranza per la stabilità dopo decenni di colpi di stato militari e lotte interne al paese, povertà diffusa, discriminazione nei confronti dei settori religiosi della società. Eletto come primo ministro nel 2003, all’epoca il leader dell’AKP dovette fare i conti con una situazione che per certi aspetti ricorda quella attuale, una grave crisi economica e i postumi del terremoto del 1999, con un bilancio di decine di migliaia di morti fra la popolazione, seppure di molto inferiore a quello del sisma che ha colpito il paese lo scorso febbraio. Seguirono invece un rapido sviluppo e modernizzazione, l’incremento della produzione industriale, l’attuazione di grandi progetti edilizi e infrastrutture urbane, ospedali, centri commerciali, università, e ancora aeroporti, ponti e autostrade. In 20 anni la popolazione è cresciuta passando da 65 a 85 milioni, e la Turchia si è posta come attore essenziale nelle relazioni internazionali.
«Non posso credere di vivere nello stesso paese di cui mi hanno sempre parlato i miei genitori. Loro sono stati in grado di trovare facilmente un lavoro dopo la laurea ed avere abbastanza soldi per costruire una famiglia e comprare una casa. Con il mio compagno stiamo pensando di sposarci perché non possiamo permetterci di vivere da soli con i nostri attuali stipendi, dobbiamo mettere insieme le risorse», dice Betül, 24 anni, che ha appena cominciato a lavorare come insegnante a Van.
L’economia rimane uno tasto dolente per tutte le generazioni di elettori. Dal 2018 la lira turca ha perso oltre il 40% del suo valore, con un drastico aumento del prezzo dei beni di prima necessità. Anche se gli stipendi, compreso quello minimo, sono stati aumentati più volte nel corso degli ultimi due anni, sia per il settore pubblico che per i privati, molti turchi lamentano una effettiva diminuzione del loro potere d’acquisto.
«Non credo che le cose possano migliorare in soli 5 anni come dicono alcuni politici, ma sono ottimista sul futuro, abbiamo un grande potenziale, siamo i nuovi medici, giudici, avvocati, insegnati e ingegneri di un grande paese. Mi dispiace che molte persone sognino di andare all’estero per trovare migliori opportunità», continua Abdullah.
Per quanto duramente l’instabilità della moneta possa colpire la vita quotidiana delle persone, alcuni giovani pensano che si tratti di un problema temporaneo e in qualche modo risolvibile.
«Le persone della mia età dovrebbero considerare la Turchia in un quadro più ampio. Nonostante la crisi economica, la nostra agricoltura è sufficiente a fornire tutto il necessario per 85 milioni, è successo anche in passato, non abbiamo mai davvero avuto fame. Temo che i giovani prendano decisioni affrettate offuscati dall’illusione di poter risolvere l’inflazione con il voto», dice Seyit, 24 anni, studente di Şanlıurfa che frequenta la facoltà di ingegneria.
Relazioni interne ed esterne di una società complessa
Mentre gli affari interni come l’economia e i diritti civili rimangono aspetti cruciali nell’orientare il voto delle nuove generazioni, ha un peso anche l’importanza del ruolo che la Turchia svolge negli affari esteri.
«L’influenza geopolitica della nostra nazione è in crescita e molti paesi stranieri investono ora più che mai in Turchia. Siamo uno dei più grandi eserciti della Nato, e l’Akp è riuscito a stringere legami saldi per sedere al tavolo negoziale con le super potenze mondiali, proponendosi anche come mediatore di conflitti. Ne è un caso eclatante quello dell’Ucraina insieme all’accordo per le esportazioni del grano», aggiunge Seyit.
I giovani in Turchia non sono da considerarsi come una singola entità, ma piuttosto come un riflesso della convivenza di molteplici culture, classi sociali, etnie e religioni che hanno dato forma alla società turca nel corso dei decenni. Mentre alcuni giovani si sentono più vicini allo stile di vita europeo, altri vedono la Turchia come un paese che include allo stesso modo i ceti considerati liberali e quelli conservatori.
«Non siamo l’Europa, non siamo il Medio Oriente. Sono preoccupata per l’immagine che noi turchi diamo del nostro paese, siamo una società moderna con alti standard di vita, siamo sia laici che religiosi, questo è un aspetto autentico che ci caratterizza. Nel mio lavoro sento una grande pressione da parte delle generazioni passate che non accettano i cambiamenti, ma sono i giovani a portare l’innovazione», dice Ipek, graphic designer di 22 anni originaria di Adana.
Chi ripone le proprie speranze in un cambio di governo, auspica che questo possa portare maggiori libertà, più indipendenza della stampa e della magistratura. Alcuni giovani sostenitori dell’attuale amministrazione temono che una vittoria dell’opposizione possa tradursi in un ritorno ad episodi di discriminazione nei confronti dei religiosi di fede musulmana. Solo vent’anni fa, prima dell’ascesa dell’AKP, indossare l’hijab nelle università e negli uffici pubblici era vietato.
D’altra parte, per molti sostenere Kılıçdaroğlu, il quale si rifà al principio di laicità dello stato voluto del fondatore della patria Atatürk, non significa negare i diritti dei turchi musulmani, ma promuovere l’idea che la religione, come una questione di scelte personali, rimanga separata dalla politica.
Indipendentemente dall’affiliazione di partito, molti ritengono che la Turchia abbia ancora bisogno di un leader con una salda visione in grado di unificare il paese. Gli scettici nei confronti dell’opposizione esprimono preoccupazione per la natura di una coalizione che, portando con sé partiti e principi diversi, potrebbe non essere abbastanza stabile una volta al governo.
«L’attuale spettro politico è incastrato in una visione duale della società, come due schieramenti in competizione. Lo scopo dei nostri politici dovrebbe essere quello di portare una riconciliazione tra conservatori e liberali, tra religiosi e laici, tra le grandi città dell’ovest e i tanti villaggi dell’est. Siamo un paese capace di formulare un pensiero critico, sociale e politico, più completo di questo», conclude Yusuf.