Diciassettesimo secolo, un veliero fa la spola tra Inghilterra e India. Sull’albero maestro batte la bandiera più conosciuta, rispettata e temuta della storia della marina mondiale: quella della Compagnia delle Indie Orientali. In coperta è stivato invece l’ormai consueto carico di spezie, gemme e beni esotici che il mercato europeo ha imparato a conoscere – ed apprezzare – grazie all’impresa coloniale.
Insieme alla merce, però, su quella nave viaggia anche un’idea. È l’idea di Modernità, così come l’Europa l’ha codificata.
Solcando le rotte commerciali che andavano definendo quell’enorme spazio nuovo che era l’Oceano, i vascelli delle cosiddette chartered companies sono stati infatti i principali vettori di un nuovo modello di sovranità che dal Vecchio Continente è stato trapiantato nei Nuovi Mondi. Un sistema basato su due pilastri fondativi: l’istituzione statale e l’economia capitalista, un connubio inscindibile che ancora oggi fa sentire tutto il suo peso a livello globale e che ha visto proprio nel laboratorio coloniale l’inizio del suo lungo viaggio.
Dopo diversi mesi di navigazione, il nostro veliero attracca finalmente a Madras, nel golfo del Bengala. Su questa parte della costa, la Compagnia delle Indie ha costruito uno dei suoi insediamenti più importanti. Quel pezzo di terra era stata una delle sue prime e più grandi vittorie diplomatiche. Un suo delegato era riuscito a strappare un accordo con il nayak locale, rappresentante dell’impero Vijayanagara, per la concessione del luogo. Da piccolo avamposto, Madras è diventata ben presto uno dei porti più sicuri nelle mani della Compagnia, oltre che un enorme snodo commerciale. Quel che ne è venuto fuori è un vero e proprio centro coloniale, difeso dalla propria guarnigione e retto da un governatore membro della Compagnia, a cui fa capo anche l’amministrazione cittadina e i relativi tribunali.