C’è una guerra dei mondi in corso: quello della realtà e della nostra quotidianità e quello dell’agenda e del dibattito del Palazzo e dei grandi media. Universi sempre più distanti.
Scorrendo le notizie quotidianamente, ma anche solo vivendo la mia giornata fatta di lavoro, tanti caffè e chiacchiere con le persone, da diversi anni non riesco a placare lo stupore di quanto sia lontano il Palazzo dalla realtà. Non uso la parola politica, perché la dimensione territoriale dell’amministrare forse è l’unico legame che ancora riesce a stabilire dei legami concreti. E soprattutto perché la politica è quella che costruiamo noi stessi nelle nostre relazioni nel sociale, pre-politiche e politiche.
Le questioni drammatiche innanzitutto e, ahimè, sono tante. Le guerre non hanno più soluzioni politiche. Gaza, l’Ucraina, ma anche gli altri conflitti che vengono oscurati sistematicamente sono da troppo tempo gara al riarmo, legge della giungla, dove il portato degli organismi sovranazionali che uscirono dalla Grande Guerra non solo non contano più nulla, ma risentono di architetture vetuste. Se chi siede nel consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto gioca a fare il cowboy, che sia Usa o Cina poco importa, e se sempre più spesso l’Assemblea generale ha pareri opposti al Consiglio, non è difficile capire che siamo di fronte a un necessario ripensamento di struttura. Le ragioni dei conflitti hanno tutte a che vedere con il profitto, che poi da tempo immemore viene presentato in maniera propagandistica di volta in volta come scontro fra civiltà, religione, e dal 2001 in poi sempre di più come il bene contro il male, dove le sfumature si perdono nei falsi proclami di principio.
Gaza è una macchia destinata a confermarsi indelebile. La diplomazia e la politica dei Paesi alleati dei giganti ha perso la grande occasione di agire secondo dignità umana, non che ci fosse da aspettarselo, ma di fronte alla retorica sui crimini del 900 qualcosa in più sarebbe stata cosa dovuta. E però sempre più ampi spezzoni di società civile dall’India agli Usa protestano e vengono repressi. Se è vero che le società sono spesso, e per natura direi, all’avanguardia, in questo caso abbiamo leader politici incapaci di interpretare quello che è un messaggio difficile da ignorare.
Ma la guerra, le guerre, si sposano con gli effetti del cambiamento climatico, anzi sono una delle cause a ben vedere, che si aggiungono. C’è una disinvoltura incredibile, nel senso letterale, per i nostri figli e figlie nel constatare come tutti i warning dettati dagli scienziati vengano ignorati per motivazioni squisitamente capitaliste. Profitto, industria, potere estrattivo e quindi controllo geopolitico. Come se il giorno che noi umani saremo estinti, il Pianeta ce la fa sempre, ci fosse ancora qualcuno da comandare o milioni da accatastare.
Si chiamano priorità, ma nelle scalette di chi vive sul filo del consenso elettorale proprio non ci entrano. Se non negli slogan vacui. Un po’ come i libri dal titolo scuro: non vendono, quindi sulla bancarella ci metto altro.
E però qui è in gioco, nelle decisioni di pochi e delegati da un voto, il futuro di tutti e tutte.
Torniamo come in un gioco dell’oca alla casella dove il 99%, che ha delle istanze generali di sopravvivenza, non conta nulla, mentre l’1% come nei film distopici, ma sempre più realistici, starà preparando la propria arca di Noè tecnologica. La domanda su come mai il 99 non riesca a imporsi all’1 ha le sue risposte, ma resta dal punto di vista matematico davvero un mistero. Il controllo, in realtà, è dentro il sistema finanziario, la sorveglianza del capitalismo nelle grandi piattaforme, il lavoro e anche il non lavoro, il sistema educativo, insomma dentro un sistema globale, diverso a seconda delle latitudini, che però osserva un unico cammino senza sperimentare alternative possibili. Ci si provò nel 2001 al G8 di Genova, e i temi rimangono tutti sul tavolo. Uccisero un ragazzo e randellarono una generazione: la strategia del terrore.
A livello nazionale siamo da troppi anni il paese dell’operetta, dove gli attori entrano nelle nostre case in maniera prepotente – non ho la tv, ma osservo il fenomeno – parlano da telegiornali, talk show, social network con una tale frequenza che in un posto di lavoro ti chiederebbero quanto tempo ti resti per lavorare, o per avere un’idea. Anche qui l’elettoralismo, cioè il mantenere potere, poltrona e relativo stipendio, è tutto. Un amico prestato alla politica me lo diceva chiaro e tondo: anche i migliori vivono in una costante corsa elettorale. Ogni giorno una dichiarazione, un post, una intervista, agenzie pagate per farti andare in tv, giornalisti strapagati per giocare un ruolo e sempre quello in un gioco delle parti infinito. L’altra sera sentivo l’eco di un talk televisivo mentre sbrigavo altre faccende di lavoro al computer: hanno urlato per due ore.
Venticinque e passa anni di berlusconismo sono stati un cancro lento, chissà se è curabile, che ha distrutto la cultura. Non sto parlando di leggere o andare alle mostre. Parlo della cultura come sete di sapere, come possibilità di conoscere, come curiosità del contemporaneo, come risorsa economica e di sviluppo, come arricchimento personale e di condivisione. Qualcuno leggendo penserà che è un sermone, ma oggi il modello dominante è quello che parla a un popolo semplice, ma che ha in spregio l’essere colti, o peggio l’avere sete di capire e conoscere. E infatti le politiche e i politici abbassano l’eloquio alla nutella sul panino, il cubo e lo spritz al Papete, le croci e i rosari come tradizione popolare, non certo per quella che fu la grande tradizione dei partiti d’ispirazione cristiana, il romanesco, la lite da cortile, chi sputa più lungo e via dicendo. Questo genere di turpiloquio istituzionale e politico si riversa sulle nostre spugne di attenzione e ci satura, ogni giorno, ogni ora. I media amplificano questo orrore incapaci di scegliere cosa sia un doveroso fatto di cronaca da frasi di propaganda e cerimoniali di autoesaltazione.
È come una droga per una gran parte delle cittadine e cittadini che giocano alla politica al bar, perché la politica si fa in tv o su un lancio social. Aggiungiamo la pornografia del dolore sui fatti criminali dei grandi media e più o meno abbiamo raggiunto il rumore che stride nelle nostre povere orecchie ogni santo giorno.
Questo universo non è il nostro. Ci viene imposto, molti lo subiscono, altri si oppongono e lo combattono, subendo repressione. Perché le forze di polizia a vario titolo non sono ‘nostre’, ma del sistema e quindi non difendono noi, ma loro.
Loro non sono come noi. Eppure, noi andiamo a votare in una crisi del sistema rappresentativo che ormai è certificato dall’astensionismo dilagante delle grandi democrazie.
La stessa forma partito è vetusta e non è più funzionale alla partecipazione popolare alla vita politica. Provate a chiedere a cento diciottenni chi vuole fare politica in un partito, si alzeranno una o due mani. Abbiamo, anzi hanno, svuotato il lato valoriale e di senso, la visione. Perché l’elettoralismo e la ricerca del consenso ti obbligano a parlare dell’oggi e del domani al massimo, ma senza evocare gli spettri e le decisioni difficili, che poi però arrivano a tradimento, ma il menzognero è già a spostare il discorso su un altro tema.
Ci sono decine di esempi, inutile citarli tutti: dalle promesse non rispettate, accise e bolli vari, bonus, aiuti che spariscono, all’onnipotenza di chi vuole scrivere il proprio nome dentro opere faraoniche che non hanno nemmeno le carte a posto per partire, ma già i manager assunti si mangiano milioni di euro.
E noi? Noi è forse troppo. Allora andiamo a prendere quella che è stata storicamente una classe importante nello sviluppo di politiche e di risorse per la vita sociale e di amministrazione: la classe media. Devastata. Mi viene come paragone impulsivo pensare alla distruzione dell’intermediazione. Sindacati distrutti (leggi Renzi), ruolo dei media azzerato nella comunicazione social fra il politico famoso e i suoi seguaci e pubblico (ricordatevi che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte trasmetteva in diretta durante il Covid dal suo account facebook); ecco la classe media viene distrutta e rientra pian piano nella sfera più bassa, mentre una parte va a giocare nel campo più alto di una forbice sociale che si è divaricata, ci dicono gli istituti di ricerca, in maniera sempre più netta.
Che cosa abbiamo noi da spartire con questi universi paralleli, se non il flebile legame territoriale amministrativo e la coazione dell’universo dei palazzi che ci usa per perpetuarsi nel potere?
Avete più letto un programma di un partito redatto non sotto elezioni? E a volte nemmeno quello. Conoscete le proposte distintive di questo o quello schieramento sul voto europeo? Perché il dibattito televisivo per delle elezioni che usano il sistema proporzionale in Europa in Italia avviene fra Meloni e Schlein? Non sono elezioni nazionali, che ha un sistema maggioritario. Cioè che fine fa anche l’importanza della rappresentazione. Se Sul canale pubblico rappresento una corsa a due nazionale per un voto europeo, sto facendo un buon servizio alla collettività?
Se togliessimo il circo che ho provato sommariamente a descrivere fino a qui a livello del palazzo, vivremmo molto più sani. Se la politica lavorasse per il bene comune, saremmo forse anche meno stressati. Se i giornali esercitassero maggior discernimento e un ruolo di controllo del potere, forse venderebbero anche più copie. Se la cultura tornasse dentro le nostre azioni quotidiane, lo dico sinceramente, sarebbe una cosa normale, non un fatto da celebrare come se fosse fantascienza. La fantascienza distopica è quella che stiamo vivendo.
L’ignoranza artificiale applicata a chi comanda tutto, delle nostre vite e delle vite degli altri.
Cambiare questa direzione dipende unicamente da noi, dalla consapevolezza di essere 99 e di non dall’ansia di voler essere dentro l’1, oppure dalla presa di coscienza che la nostra fatica non è rappresentata dal turpiloquio cui assistiamo, grezzo. Anche se siamo semplici o poveri cristi, non è una questione di censo. Semplicemente, meritiamo di più. E la politica è delegata, siamo noi che accendiamo i seggi del potere. Cittadini e cittadine, insomma, qui vuole anche elettore: non sudditi o servi sciocchi.