I commenti alle elezioni Usa e al successo del trumpismo spesso finiscono nel delimitare il passaggio di una linea invalicabile e, di conseguenza aprire una nuova stagione geopolitica. Ma è davvero così?
È davvero un nuovo mondo quello che è uscito dalle elezioni Usa? Lo scopriremo insieme a partire dai primi atti ufficiali del neo presidente quando si sarà insediato. Abbiamo già visto il primo mandato di un imprenditore multimilionario, molestatore sessuale, spregiudicato e ultraprotezionista, nemico dei diritti civili e umanitari. Abbiamo già vissuto le petizioni degli psicologi e psichiatri che a centianaia ha firmato l’appello per considerare non adatto Dondald Trump alla presidenza, abbiamo vissuto come spesso orami live l’assalto al Campidoglio, fra lo sconcerto di chi non è abituato a vedere l’incapacità di reazione dell’ordine pubblico Usa.
Da qui, però a dire che sarà un nuovo inizio della storia il passo non è così breve.
Certo, il Cremlino ha subito preso parola, oltre alle azioni cibernetiche denunciate per inquinare il voto come in tutte le elezioni degli ultimi anni. Vladimir Putin fa vedere che è pronto, Trump la chiuderà la guerra con buona pace dell’Ucraina, l’ha promesso. Poi toccherà vedere, perché non è una cosa così semplice farlo, più facile sparare fanfaronate a casa propria.
La Cina è nel mirino, ma proprio come nel primo mandato.
L’Europa è un bersaglio, sempre a parole, perché secondo il Tycoon siamo furbi e deprediamo il loro mercato, bloccando le loro esportazioni. Quante Chevrolet avete mai visto a Berlino? Chiedeva Trump con il cappellino rosso in un comizio.
E la Nato che fine farà?
Eppure quest’ansia dei commentatori, tutti stimabili, che spendono enfasi sulla nuova era che si apre non mi convince fino in fondo. Non c’è coup de théâtre, è tutto scritto, annunciato, atteso.
Semmai c’è un tema che si impone e che riguarda una superpotenza invisibile e immatura da troppi anni: l’Europa.
Saprà l’Europa svincolarsi dal giogo Usa e prendere in mano la propria storia e identità, frammentata, ma dalle radici comuni?
Non è certo un caso che Bruxelles non sia mai riuscita ad autodeterminarsi appieno. Dove il lobbismo Usa non arrivava in sede centrale, agiva nei singoli Paesi e l’Italia è la portaerei nel Mediterraneo irrinunciabile per Wasghington, mentre Londra è stata per decenni la fedele alleata militare. Se ora viviamo nella gigantografia di Trump che incombe su di noi, chiediamoci anche se riusciremo mai ad avere una leadership europea capace di strappare e costruire. Non è solo ‘una difesa comune’, con la campagna ‘compriamoci le nostre armi’ per avere dei bei dati di spesa e ricavo interno. C’è molto da proporre e lavorare su una scuola comune di dirigenti politici a livello europeo, persone capaci di essere attive e istituzioni che siano più determinanti rispetto al potere delle singole nazioni. Se non si passa di lì rimarremo sempre schiacciati. Come, solo ultimamente, Ucraina e soprattutto il genocidio di Gaza ci stanno dimostrando.
La vera domanda sarebbe: che cosa abbiamo combinato come Europa fino a ora? Ma la domanda più pragmatica, che non esclude la precedente è: da dove si inizia? Chi si prende questa briga e responsabilità? Sono le domande per ora senza risposta, così come l’ondata nazionalista e sovranista porta con sé il disprezzo di idea europea come una nuova possibilità di una diversa politica estera, una riaffermazione dei diritti.
E chiediamoci chi finanzia quest’ondata di sovranismo di destra. Fatevi due conti e non sarà difficile immaginare come alle diverse latitudini, le capacità di penetrazione che hanno non sono dentro la pur legittima osservazione che è finita l’era degli ideali e che l’elettore ed elettrice è più ‘pragmatico’ parola assolutamente vuota. È che l’Europa dei diritti non riesce a garantire ovunque dignità nei salari, è spaccata fra Nord e Sud, è vittima del capitalismo vorace che per definizione è egoista, ma così egoista che anche di fronte al mondo che scotta e presto brucerà pensa solo ad accatastare soldi pensando di farla franca in qualche parte del mondo riservata al club dei bunker da Paperoni. La stagione dei prgmatici egoismi è il frutto di chi soffia sulla pancia – che ha dei motivi – dall’alto della propria ricchezza, che prospera proprio sull’impoverimento, economico e culturale, altrui.
Verrebbe da dire che l’unica cosa certa è ricominciare dalla cultura. Dall’abc della cultura, dal saper diffondere non solo la cultura, ma l’amore per essa, renderla una cosa cool, renderla tremendamente di moda, qualcosa che ogni teen ager proprio non può fare a meno di avere. Oggi questa cosa sono i beni di consumo e la visibilità reputazionale. Ma solo perché abbiamo lasciato il mondo del web in mano al privato, quindi alla speculazione che ci mangia i cervelli e apre i portafogli. Si passa da lì, dalla diffusione capillare della cultura, con persone che ci credono e ci investono. Se fossi un capitano d’azienda multimilionaria illuminato investirei su questo, prima di essere strozzato dai protezionismi che si annunciano.
In un lavoro che presto vedrà la pubblicazione di testi ma soprattutto fotografie realizzate da Manuel Cicchetti si affronta l’Europa non attraverso i suoi singoli confini fra Stati, ma con dei reportage su longitudini e latitudini. Il risultato di quelle immagini è sorprendente perché racconta della nostra comune matrice, degli scambi e della cultura che ha caratterizzato gli spazi e le architetture con dentro tutta la nostra storia. Ci dice che politicamente, cioè socialmente, siamo molto più uniti di quello che riescono a fare i vari governi, che le generazioni Erasmus han fatto di più di retoriche svuotate, che ad ogni crisi crisi tornavano a difendere i muri delle capitali. Altro che campagne elettorali europee che sono solo test nazionali!
Un’idea di Europa c’è, ed è molto più dentro dei milioni e milioni di persone che lavorano nel sociale e per la cultura e i diritti, che nelle élite che ci amministrano. La nuova era, forse, comincia proprio da come si riuscirà a cambiare la rappresentatività, o a far tornare a votare chi si è anestetizzato nello svuotamento sistematico delle istituzioni.
Immagine: disegno di Enrico Natoli per Q Code Mag