Rights Now è il titolo dell’ottava edizione del Festival dei Diritti Umani. E per l’ottava volta Q Code è media partner. Perché i diritti sono la base del futuro della politica
Directum. Viene da lì la parola diritto e l’etimologia ci dice che significa allineare le cose in maniera diretta, regolare, giusta, opportuna. Per farlo, nella Storia, ci siamo scontrati con vere e proprie montagne russe spigolose, altro che linee regolari.
Come in un momento di forze i vettori tirano verso direzioni opposte: guerre e pace, egoismo e mutualismo, capitalismo e solidarietà, elitario ed uguaglianza, ricchezza e povertà, sfruttamento e dignità. La storia dei diritti è complessa; il Novecento è stato un secolo incredibile, nei diritti negati e nelle conquiste sociali e civili e sfondati gli anni Duemila siamo ancora dentro situazioni drammatiche, pur con una consapevolezza diffusa e sicuramente maggioritaria di quanto valgano i diritti e quanto siano importanti. Il problema è dar loro applicazione.
Q Code diffonderà parte dei contenuti che sono stati preparati dal Festival dei Diritti Umani. Fra questi c’è, per esempio, un’intervista a Enzo Risso, direttore di Ipsos, che ci parla delle crepe nell’individualismo e del ritorno della partecipazione. Ci parla anche della parola comunità, con un particolare interessante e inquietante insieme: il campione italiano è scisso sostanzialmente a metà su quella parola. Alcuni, infatti, la intendono in maniera inclusiva. Altri come una parola con mura fortificate, in cui non far entrare ‘lo straniero’.
Fra le storie che leggerete c’è quella del genere e della carriera alias; la possibilità, cioè, che una persona possa scegliere il proprio genere quando la chiamano all’appello o quando compila un foglio a protocollo. Non tutte le scuole ce l’hanno: alcune ne hanno fatto una bandiera, come il Liceo artistico Brera di Milano. In altre è stato vietato. Ma la cosa che colpisce è come il governo, anzi i governi, non abbiano mai normato a livello nazionale questo diritto, mentre in Spagna proprio poche settimane fa è diventata legge dello Stato.
Fra le voci che raggiungeranno le centinaia di ragazzi che il Festival chiama in presenza e online ci saranno quelle che parleranno di diritti del pianeta, di noi che vogliamo sopravvivere, di diritti digitali, della nostra privacy e della nostra umanità, dell’uguaglianza e della dignità, proprio come ci hanno ricordato le vicende narrate, per non giorno in maniera corale dalla grande stampa in occasione della Festa dei lavoratori. Sono storie di precariato, di disoccupazione, di miseria e di riscatto, dove il fatto di poter avere dei diritti troppo spesso non si accompagna al fatto di poterli esercitare, come dice una frase che pare logora nel suo realismo: la Costituzione italiana è una carta ricca di diritti, peccato che non sia applicata nella gran parte dei suoi articoli.
Riporteremo su queste colonne storie dure e storie esaltanti, perché i racconti di chi si batte per i suoi diritti non possono lasciarci freddi e distanti.
Il grido che lancia il Festival dei Diritti Umani, che è organizzato da una nuova Fondazione omonima, è forte.
Diritti ora! Quel ‘Now’ è la chiave di una delle caratteristiche del poter esercitare un diritto: che non sia sulla carta, che sia disponibile subito, attivo da subito, che possa vivere adesso.
La politica è arte del mediare, ma l’attivismo c’è anche per questo, per spingere alle mediazioni al rialzo, non al ribasso. E per applicare quella legalità democratica che ci permette di aumentare sempre di più i nostri diritti, di renderli patrimonio di una comunità, ampia, globale.
Le grandi istituzioni internazionali che dovrebbero garantire diritti fanno acqua da sempre, fin dal Dopoguerra. Troppi interessi, troppe influenze, troppi soldi in ballo. Ma la bellezza dei diritti è che l’uno e i tanti possono spingere, a volte addirittura trascinare, verso soluzioni adeguate.
È successo, non è stato quasi mai indolore, le cronache ci dipingono grandi guru che troppo spesso han dovuto sacrificare tutto per ottenere successo per le rivendicazioni che incarnavano. Ma dentro questi flussi c’è la potenza di chi si unisce e riesce a evitare anche questo bisogno di esempi fulgidi che ci trasciniamo da troppi secoli, a favore di un corpo coordinato di attivismo che esige e che ottiene.
Ecco perché ogni anno si riannoda la promessa con il Festival dei Diritti Umani. Perché il lavoro che svolge, la sua funzione, è centrale per riappropriarci del futuro della politica. Adesso!