David Bowie è stato tante cose: una rockstar, un artista visionario, un’icona pop. Meglio ancora, David Bowie è stato tante persone: il Duca Bianco, Aladdin Sane, ma anche e soprattutto Ziggy Stardust.
Il suo primo e inimitabile alter ego è l’indiscusso protagonista del graphic novel Starman di Reinhard Kleist, recentemente portato in Italia da Bao. Più ampio e biografico, invece, Bowie di Mike Allred e Steve Horton (Panini Comics).
Sono solo due dei tanti titoli a fumetti dedicati alla star inglese uscite dopo la sua morte nel 2016, che in diversi modi hanno tentato di ricostruire – in modo inevitabilmente parziale – una carriera artistica lunga quanto eccezionale.
Il modo scelto per declinare la parzialità di un racconto che diversamente avrebbe richiesto migliaia di pagine è la chiave di lettura per confrontare questi due lavori, e probabilmente tutti gli altri dedicati a Bowie.
Reinhard Kleist – noto tra l’altro per le biografie di Johnny Cash e Nick Cave – fa una scelta radicale: Starman prende avvio dall’infanzia dell’artista, ma si conclude nel momento in cui Ziggy Stardust, il suo alter ego, esce di scena.
Questa impostazione consente a Kleist di trattare con maggiore profondità alcuni aspetti della carriera di Bowie, quelli legati ai suoi esordi, alla ricerca del successo, all’aspirazione di condurre il suo pubblico oltre le stelle.
Un’aspirazione che presto diventa ossessione, soprattutto quando l’impatto della celebrità travolge definitivamente David rendendo pericolosamente labile il confine tra lui e Ziggy Stardust.
Kleist mette in evidenza questa dualità con un racconto che scorre lungo binari paralleli: la vita di David prima di Ziggy, visualizzata con i toni del seppia, e quella successiva alla sua comparsa, psichedelica e sgargiante.
Ma Starman riesce anche a essere intimo e profondo, in particolare nel tratteggiare i difficili rapporti di David con la famiglia: la scomparsa prematura del padre, la severità della madre, i disturbi psichici del fratello.
Presentata come la “biografia a fumetti definitiva” dell’artista, Bowie si concentra invece maggiormente sugli aspetti musicali del suo percorso, a partire dai tanti incontri con le altre star della scena contemporanea.
I momenti più noti della carriera di Bowie – dalla chitarra suonata con i denti alla celebre performance a Top of the pops nell’estate ‘72 – sono le chiavi di volta attorno alle quali Allred costruisce un impianto grafico iconico e potente.
La sceneggiatura ha una connotazione più biografica rispetto a Starman, con cui comunque condivide la scelta di dedicare quasi tutto lo spazio al percorso dell’artista prima dell’addio a Ziggy Stardust.
Con l’eccezione di alcuni flashforward per peparare il gran finale, Bowie si dipana in un racconto più cronologico e lineare, offrendo al lettore numerose informazioni – come le date degli eventi – attraverso le didascalie.
Anche se i due graphic novel condividono una buona dose di visionarietà allucinatoria, Starman si può definire come un viaggio nell’anima di David, mentre Bowie è una ricca cronaca della sua carriera.
Questa diversità si riflette anche nella costruzione delle tavole e nel disegno.
Kleist ha uno stile più autoriale: una griglia di vignette tradizionale che stravolge quando necessario, un tratto cinetico e rétro che determina anche la scelta dei colori, realizzati insieme a Thomas Gilke.
Allred, che viene dal fumetto di supereroi, sembra voler immortalare – nel vero senso della parola – i suoi personaggi sulla pagina, trasformandoli con il tratto pulito della sua linea chiara in vere icone al di fuori del tempo.
Anche in questo caso, la colorazione digitale di Laura Allred va decisamente nella stessa direzione: quella di offrire al lettore tavole davvero spettacolari, con il frequente ricorso alla splash page.
Tra le due opere, in ogni caso, i punti di contatto non mancano. Forse però Bowie si può considerare un lettura più adatta ai neofiti del Duca Bianco, mentre Starman offrirà maggiori soddisfazioni a chi già conosce il suo percorso.
Ma non fatevi ingannare: all’ombra di David Bowie, in entrambi i casi, potrebbe nascondersi Ziggy Stardust. Perché in fondo, come ricorda Kurt Vonnegut, “siamo quello che fingiamo di essere”.