Elliott Smith going nowhere (Bao, 2022) è il secondo lavoro a fumetti di Holdenaccio, autore tarantino classe 1990, dedicato al cantautore statunitense morto nel 2003 a soli 34 anni.
Ho avuto il piacere di intervistare Holdenaccio nel corso della presentazione del volume organizzata dalla libreria The Book Room di Santarcangelo di Romagna (Rimini).
Perché Elliott Smith? Cosa ti ha spinto a scegliere di raccontare proprio questo artista, la sua vita e la sua musica?
Mi piace parlare di Elliott Smith cominciando dai suoi tatuaggi. La sagoma del Texas sul bicipite sinistro, non come forma di appartenenza o legame a quel luogo, ma per non dimenticare da cosa stesse fuggendo. Sul braccio destro la figura del toro Ferdinando, protagonista di un romanzo illustrato degli anni ‘30 di Munro Leaf – da cui Disney ha tratto un corto e Pixar un film animato – che era il preferito di Elliott da bambino.
Ferdinando, a differenza dei suoi compagni tori, ama trascorrere le sue giornate a inseguire farfalle e annusare fiori: un messaggio a suo modo dirompente in un contesto in cui dimostrare di essere il più forte era tutto, tanto che il libro fu bandito nella Spagna franchista e nella Germania nazista.
La similitudine tra Elliott e Ferdinando mi è sembrata immediata: due anime sensibili e inadatte a vivere in un mondo di prevaricazione. Ho sentito molto vicina questa scelta di non voler vincere, di essere fieramente dei perdenti, ma questa è solo una delle tante ragioni che mi hanno portato a raccontare di Elliott.
Quando hai capito che avresti fatto un libro su Elliott Smith?
L’idea è nata mentre lavoravo alle ultime tavole del mio primo fumetto, Umberto: quando lavoro ascolto ossessivamente la stessa musica, e in questo caso l’album era Either/Or, l’unico disco di Elliott che conoscevo all’epoca grazie a un amico del liceo. Nonostante fossi in ritardo con la consegna all’editore, invece di lavorare a Umberto ero già proiettato su Elliott Smith, visto che mi trovavo “inconsapevolmente” a disegnarlo.
Quando me ne sono reso conto, mi sono voluto informare sul resto della sua produzione musicale, solo per scoprire che purtroppo era già morto. Quella morte così tragica e in giovane età mi ha spinto a cercare di sapere di più su di lui, e mi è bastato poco per capire quanto mi sarebbe piaciuto raccontare la sua storia, vista anche la scarsità di materiale biografico esistente.
Due biografie non ufficiali, un documentario e qualche intervista non erano sufficienti per me, quindi ho pensato di proporre il lavoro a Bao e andare negli Stati Uniti a fare ricerche sul campo, anche perché nel frattempo avevo pubblicato online il primo disegno ed era piaciuto anche alla mia editor… peccato che poi sia arrivato il Covid.
In coda al libro ringrazi la squadra Bao per il ruolo di stimolo che ha avuto nei tuoi confronti… ci hai raccontato la genesi di questo lavoro, come si è sviluppata invece la sua realizzazione?
Se non fosse stato per la mia editor in Bao probabilmente non avrei mai fatto questo libro, perché mi preoccupava molto parlare di Elliott Smith senza averlo mai conosciuto personalmente: sentivo di non averne il diritto di fronte ai suoi familiari e agli amici di una vita.
Inoltre ero dubbioso anche rispetto alla possibilità di affrontare i momenti più drammatici della sua vita con il mio stile di disegno, che mi sembrava poco adatto. Ho pensato persino di non affrontare certe circostanze, ma abbiamo capito che il racconto sarebbe stato parziale, quindi ho dovuto trovare un modo.
Per essere sicuro di informarmi al meglio sono andato direttamente alla fonte: ho contattato attraverso i social Neil Gust, grande amico di Elliott e cofondatore degli Heatmiser, che oltre ogni mia aspettativa non solo mi ha risposto, ma ha condiviso con me tantissime informazioni, mettendomi in contatto con Sam Coomes e Tony Lash, gli altri componenti della band, tra le prime della scena punk anni ‘90 a Portland.
L’attività di ricerca che hai portato avanti emerge anche dai dettagli grafici di cui è ricco il fumetto, dalle copertine dei libri ai poster, fino ovviamente ai dischi: quanto dei risultati di questa ricerca sei riuscito a mettere nel lavoro finito?
Il lavoro di ricerca è stato molto lungo, e alla fine la selezione delle informazioni si è rivelata un’altra fonte di preoccupazione, visto che dovevo contenere la gran mole di episodi che mi erano stati raccontati nelle 200 pagine concordate con Bao. Ho scelto di concentrarmi su Elliott come persona, e per farlo ho utilizzato un 70-75% di fatti realmente accaduti che poi ho romanzato per dare una struttura narrativa all’opera.
Il libro è dedicato a Tuono Pettinato. Vorrei chiederti quanto il suo lavoro ti abbia ispirato e se è giusto intravedere in Elliott Smith un’eco del Nevermind di Tuono: penso per esempio a Ferdinando e Bodda, i due amici immaginari dei protagonisti, ma non solo.
Tuono Pettinato e Nevermind mi hanno ispirato tantissimo per questo lavoro. Con Tuono eravamo amici, ci siamo conosciuti nel 2015 a Treviso Comics e ci incontravamo spesso ai festival, ma ancora prima è stato uno degli autori chiave che mi hanno spinto a fare fumetti e a confrontarmi con un editore: all’epoca infatti facevo parte del collettivo Sbucciaginocchi, avevo appena autoprodotto il mio primo fumetto e non avevo idea di come funzionasse il mercato editoriale. Ci siamo incontrati per l’ultima volta al BGeek di Bari nel 2019, gli ho raccontato dell’idea su cui stavo lavorando ed eravamo entrambi molto contenti per i parallelismi con Nevermind. Ho voluto dedicargli il fumetto per ricordare non solo un grande autore, ma un amico.
Quelle di Smith e Cobain sono storie per certi versi simili: credi che dalla somiglianza di questi percorsi si possa trarre qualche conclusione sulle circostanze che hanno spinto le loro vite a concludersi in modo così tragico?
Non faccio musica quindi probabilmente non sono la persona più adatta per rispondere a questa domanda, ma credo che entrambi avessero in comune la volontà di mantenere – all’interno di un sistema votato allo showbusiness – un aspetto di sincerità che andasse oltre le vendite, il marketing: la scelta di fare una cosa per il piacere di farla, che sia raccontare o fare musica. Questo significa, quando inizi a scrivere storie o canzoni, avere in mente come destinatario il pubblico, te stesso o i personaggi di cui racconti, non l’idea di trarre un guadagno da quello che fai.
Elliott inizialmente aveva scelto di tenere per sé la sua musica, ma la compagna dell’epoca, Johanna Bolme, lo spinse a pubblicare il suo lavoro probabilmente perché non voleva che il mondo ne fosse privato: stiamo parlando di Roman candle, il primo disco di Elliott, che è davvero un capolavoro… pensare che sia stato registrato artigianalmente all’interno di uno scantinato ha dell’incredibile, e fa capire come mai Johanna abbia voluto incoraggiarlo a fare qualcosa di più grande.
Gli album successivi di Elliott le hanno dato ragione: penso in particolare a Figure 8, che ho voluto riprendere nella copertina e nella colorazione del libro. L’interno infatti è in bicromia, rosso per le scene dell’infanzia – con un richiamo al clima caldo e ai paesaggi del Texas – e blu per l’età adulta nell’Oregon, più freddo e piovoso rispetto al Sud.
Il fumetto mescola la musica al testo e alle immagini, anzi a tratti sembra scaturirne: quanto la musica di Elliott Smith ha influito direttamente sulla creazione della tua opera rispetto alle informazioni biografiche raccolte nella tua attività di ricerca?
Parlando di un musicista, non potevo esimermi dal citare le sue canzoni, ma ho voluto rendere la cosa non fine a sé stessa. Quindi non mi sono limitato a inserire i pezzi di Elliott, ma anche alcuni brani per lui fondamentali nel corso della sua vita, come Thirteen dei Big Star, che adorava e di cui ha fatto anche una cover stupenda. Inoltre non mi sono fermato alla citazione, ma ho cercato di dar vita alle canzoni, facendole entrare dentro la storia.
Nel fumetto non hai a disposizione la musica come nei film, quindi ho voluto far diventare il verso stesso componente della tavola, riprendendo ad esempio i caratteri tipografici dell’epoca, trasformandoli in un vero e proprio font che è stato utilizzato per tutto il libro. Poi ho aggiunto due pezzi italiani a me molto cari che Elliott non avrebbe mai potuto conoscere, essendo usciti dopo la sua morte, ma che secondo me in quei momenti della storia erano perfetti.
La playlist finale consente di immergersi pienamente nelle atmosfere di Elliott Smith: da cosa deriva la scelta di metterla alla fine del volume e non all’inizio o durante il racconto, come hanno fatto Giorgio Salati e Armin Barducci in Sospeso? Pensavi che potesse interrompere o condizionare il flusso della narrazione e della lettura?
Una scelta simile l’ha fatta anche Lorenzo Ceccotti in Golem, con un codice a ogni pagina che rimanda alla storia della tavola e al suo processo di realizzazione. È un’idea sicuramente affascinante, io mi sono limitato a inserire la playlist alla fine del volume anche perché la decisione di aggiungerla è arrivata alla fine della lavorazione: al QR code diretto a Spotify, per esempio, non avevo pensato perché credevo non si potesse fare per ragioni di copyright… ma a conti fatti, anche la durata della playlist è abbastanza in linea con i tempi di lettura del fumetto, quindi una fruizione in contemporanea si può sicuramente provare.
La tua opera prima, Umberto, nonostante sia dedicata a temi importanti e attuali come la scarsità delle risorse energetiche, il neocolonialismo e il rispetto dell’ambiente, è caratterizzata da un tono più leggero, è un racconto di formazione in chiave anche ironica. In questo libro la vicenda narrata è molto diversa, e il tuo stile vi si è adattato: Elliott Smith rappresenta una tua evoluzione rispetto a Umberto oppure sono due registri che hai voluto esplorare senza che uno debba necessariamente sostituire l’altro?
L’evoluzione dal mio punto di vista sta soprattutto nello stile grafico: per Umberto, infatti, avevo in mente le scelte stilistiche e grafiche che poi sono riuscito a trovare solo lavorando su Elliott Smith. Il registro narrativo, invece, dipende soltanto dal tipo di storia che scelgo: per Umberto ho scelto una chiave ironica, visto anche il target più giovane dell’opera, e ho raccontato tra le altre cose il colonialismo subito dal Meridione trasportandolo nello spazio, i temi dell’ambientalismo e dell’inquinamento.
Tematiche che derivano direttamente dalla mia esperienza: io vivo a Taranto, e la cittadina sul pianeta Urano dove vive Umberto, Metown, è Taranto. Ma l’esito che volevo con Umberto a livello narrativo, cioè scrivere un romanzo di formazione, secondo molti l’ho ottenuto con Elliott Smith, pur senza averne l’intenzione.
Quanto della tua carriera precedente al fumetto è confluito nei tuoi lavori? Cosa ti sei portato dietro?
Quello che ho fatto prima del fumetto è stato fondamentale nell’aiutarmi a trovare la voce che utilizzo per creare storie. È vero che vengo da un percorso formativo assolutamente atipico per il fumetto – liceo scientifico e scienze politiche – ma sicuramente qualcosa è rimasto nelle tematiche che scelgo di trattare.
Non mi ci vedevo a fare fumetti: mi piaceva disegnare e raccontare, ma prima di scoprire che queste due cose si incontravano nel fumetto ho fatto i lavori più diversi. Ma il mio percorso, per quanto atipico, resta centrale nella definizione della mia identità come autore: lo dimostra il fatto che in Umberto c’è tanta politica.