Brutalità. È il filo conduttore che attraversa senza soluzione di continuità Fehida, graphic novel che ricostruisce tra realtà e fantasia una faida di ‘ndrangheta lunga quasi trent’anni.
La vicenda narrata da Tommaso Renzoni e Raffaele Sorrentino comincia infatti nel febbraio 1991 a San Michele, piccolo paese in provincia di Reggio Calabria che nella finzione narrativa sostituisce San Luca, per concludersi a marzo 2007 nella città tedesca di Duisburg.
Nel mezzo, l’inimmaginabile: una guerra tra famiglie di ‘ndrangheta senza esclusione di colpi, nel senso letterale dell’espressione. Perché a rimanere travolti nel conflitto sono anche i bambini.
Questo aspetto in particolare testimonia l’escalation di brutalità che porta lo scontro così lontano nel tempo e nello spazio. Non solo per le vittime, ma anche perché due dei quattro protagonisti sono bambini all’inizio del racconto.
L’iniziazione alle armi di Francesco e la precoce furia omicida di Luca dicono molto del contesto socio-culturale in cui è nata e prolifera un’organizzazione potente e feroce come la ‘ndrangheta.
Perché si tratta di circostanze in cui sono proprio le persone più fidate – amici e familiari, in particolare i padri – a plasmare i due ragazzi invitandoli a “spegnere” ogni pulsione positiva, che si tratti di pietà per altri esseri viventi o magari di amore per una ragazza.
E proprio l’amore è al centro della più proibita tra le relazioni, quella tra Mimmo e Giovanni, “colpevoli” non solo della propria omosessualità, ma di amarsi nonostante l’appartenenza alle famiglie contrapposte nella faida.
Il volume recentemente pubblicato da Minimum fax, diviso in cinque parti più un epilogo, si legge tutto d’un fiato nonostante le duecento pagine, perché tiene incollato il lettore dal prima all’ultima vignetta.
Il merito va sicuramente allo stile scelto dai due autori, asciutto e con pochi dialoghi, in grado di riprodurre fedelmente un ambiente in cui alle parole si sostituiscono azioni spesso irreparabili.
Anche la costruzione delle tavole segue questa impostazione, giocando abilmente con la griglia tradizionale per produrre un ritmo incalzante e senza pose. Il resto lo fa il montaggio, quasi cinematografico nella capacità di alternare tempi e luoghi senza far perdere il filo al lettore.
I disegni di Sorrentino, notevoli anche per la scelta di certe inquadrature che richiamano ancora una volta il cinema, partono dall’esempio della linea chiara per andare verso soluzioni creative che sorprendono per efficacia e lirismo.
I colori di Riccardo Pasqual sono altrettanto evocativi, con una quadricromia caratterizzata dalla preponderanza di rossi e blu che identificano immediatamente i vari personaggi per la loro appartenenza all’una o all’altra famiglia, oltre a conferire una parvenza fantasmagorica all’intera vicenda.
La fantasmagoria raggiunge il suo apice nel momento degli arcaici rituali di passaggio che regolano la vita dell’organizzazione criminale, ambientati per lo più all’interno di una misteriosa caverna buia.
L’oscurità che promana dall’antro si diffonde come una macchia di petrolio prima nel paesino calabrese, poi oltre confine fino a raggiungere la Germania, dove si svolgerà la resa dei conti finale ben nota alle cronache internazionali.
Il crescendo di odio e violenza, che per certi versi richiama le atmosfere del film Anime nere di Francesco Munzi, restituisce un quadro tragico, apparentemente inconcepibile ma purtroppo tremendamente reale, dei meccanismi che danno vita alle associazioni mafiose e ne regolano il funzionamento.
La domanda finale che resta minacciosamente sospesa su tutto è se sia possibile scardinare questi meccanismi, come riuscirci, e quante vite dovranno ancora essere sacrificate inutilmente nel frattempo.