Come sa bene chi lo segue da più tempo, l’opera di Zerocalcare è un grande puzzle in cui ciasuna storia contribuisce a ricostruire un pezzo del suo vissuto o del mondo visto dalla prospettiva dell’autore.
Un puzzle che comprende riferimenti alle varie stagioni di vita del protagonista, alla famiglia e alle amicizie, insomma a tutti gli elementi che consentono di ricostruire, attraverso la filigrana del personaggio Zerocalcare, la vicenda della persona Michele Rech.
Finora, però, questo puzzle mancava di un pezzo particolarmente importante: il rapporto con il padre, figura presente solo sporadicamente e con ruoli sostanzialmente marginali nelle precedenti storie di Zerocalcare.
Quando muori resta a me, il nuovo lavoro del fumettista di Rebibbia uscito appena due giorni fa per Bao Publishing, esplora questa dimensione ignota della biografia di Michele Rech, attraverso una narrazione profonda e sviluppata su più piani.
Il gancio per il racconto è offerto da un lungo viaggio in auto da Roma alle Dolomiti, luogo d’origine del padre di Zerocalcare, per raggiungere la vecchia casa di famiglia e il suo bagaglio di ricordi antichi.
Già, perché la seconda linea narrativa risale addirittura alla Grande Guerra, rievocata con un tratto sottile e drammatico – che ricorda Gipi – accompagnato da una parlata veneta, che colloca fin da subito i personaggi del luogo, presenti e passati, a distanze siderali dal ben noto romanesco del protagonista.
Su questa distanza si gioca gran parte della storia: la distanza che separa Roma dalle Dolomiti, il veneto dal romano, il passato dal presente, e soprattutto Zerocalcare da suo padre.
La difficoltà di un dialogo tra i due “uomini della famiglia”, che scopriremo poi essere tramandata di generazione in generazione, è infatti uno tra gli elefanti nella stanza – ma non certo l’unico – in questa storia così diversa da quelle a cui Zerocalcare ci ha abituato di recente.
Certo, l’incomunicabilità tra esseri umani rimane uno dei temi centrali nella sua opera, ma bisogna tornare indietro di dieci anni per ritrovare un’atmosfera simile a quella di Quando muori resta a me.
Era il 2014 e nelle bellissime pagine di Dimentica il mio nome – che gli valsero il secondo posto al Premio Strega Giovani – Zerocalcare ripercorreva con il suo stile unico e immaginifico la storia familiare della madre.
Come per i due tempi di Macerie prime, questa nuova opera completa idealmente la prima a un decennio di distanza, regalandoci il ritratto di un altro pezzo importante della vita e della famiglia dell’autore.
Per il resto, Quando muori resta a me contiene tutti i tratti distintivi delle opere di Zerocalcare – militanza politica, umorismo fulminante, riferimenti alla cultura pop – familiari senza essere ripetitivi, ma inseriti all’interno di uno stile ancora in evoluzione soprattutto per quel che riguarda il segno grafico.
La sperimentazione di nuove soluzioni visive, in particolare nei flashback del passato più remoto, restituiscono una sensazione di maggior profondità e maturazione, sicuramente arricchiti dagli ormai proverbiali toni di grigio realizzati da Alberto Madrigal.
Il racconto, a tratti cupo e attraversato per lunghi tratti dalla pesantezza di un destino all’apparenza ineluttabile, come spesso accade alle storie di Zerocalcare non si risolve con un finale pirotecnico o consolante.
Più semplicemente le cose vanno avanti, nonostante sensi di colpa e rancori, nel modo che è da sempre la forza delle opere di Zerocalcare: quello più simile alla vita vera.