Piove forte, la Val Polcevera è immersa nel buio della sera, il traffico è lento e la strada poco illuminata. Sto andando nell’entroterra genovese a Isoverde, frazione di Campomorone, qui fino al 2019 era attivo il No Terzo Valico.
Il movimento si opponeva alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità: 53 km di galleria che collegano la città di Genova alla città di Tortona, uno dei nove corridoi della rete transeuropea di trasporto. Da subito l’idea è stata quella di bucare l’appennino ligure, distruggere montagne e sbancare colline per favorire il passaggio di merci e persone.
Il progetto è stato venduto pensando a Genova come hub di accesso al corridoio ferroviario Genova-Rotterdam: le merci in arrivo dall’Asia arriverebbero al porto di Genova (anziché al porto di Rotterdam), poi da qui grazie al Terzo Valico partirebbero su rotaia in direzione nord Europa, risparmiando così i cinque giorni di navigazione necessari. C’è chi ha creduto a tutto questo.
È iniziato con “Collegherà la Liguria all’Europa” ripetuto dall’allora governatore della Liguria, il PD Claudio Burlando e dalla sua collega di partito l’assessora regionale alle infrastruttura Raffaella Paita (ora Italia Viva). Ed è finito con Toti e Bucci che dicono le stesse cose. Un grande classico dei partiti trasversali che vanno d’accordo quando di mezzo ci sono cemento e grandi opere.
A Isoverde mi accoglie un tempo da lupi, le nuvole basse riempiono il bosco di nebbia, finalmente un po’ di freddo in questo inverno caldo. In casa Lorenzo ha la stufa di ghisa accesa, mentre iniziamo a parlare continua a buttare legna. Lui è nato e cresciuto ad Isoverde ed è stato una delle anime della lotta contro il Terzo Valico. Di professione fa il falegname anche se è laureato in geologia e ha svolto la professione di geologo per molti anni in giro per il mondo.
«Qua in valle si vedono benissimo quelli che sono risultati della cantierizzazione del Terzo Valico. A oggi le strade sono mezze abbandonate, lo osterie sono vuote perché non ci sono gli operai e non c’è stato nessun tipo di indotto per le aziende locali.
Al contrario, le case si sono svalutate e il loro valore continua a diminuire, perché comunque queste non sono zone particolarmente belle o particolarmente comode, però un tempo avevano un certo benessere, erano luoghi in cui si viveva abbastanza bene, vicini alla natura. Adesso tutte queste componenti sono andate perse, in questo senso il Terzo Valico ha inciso pesantemente».
Per parlarmi delle varie questioni ambientali, Lorenzo inizia questa chiacchierata partendo da un fiume. «Il torrente Verde ha avuto un percorso negli ultimi 150 anni che è indicativo di quello che è successo in questa valle. Isoverde aveva un grande distretto artigianale con l’importante presenza dello jutificio Costa in cui lavoravano circa 1000 persone, quasi tutte donne. Una volta chiuso è iniziata un’altra era industriale, ha aperto una cartiera e al posto dello jutificio una fabbrica di infissi.
La conseguenza principale è che il fiume Verde ha cominciato ad inquinarsi a seguito degli scarichi di lavorazione della carta. Negli anni Novanta questi impianti industriali hanno chiuso e il fiume piano piano ha cominciato ad essere sempre più pulito. Poi è arrivato il cantiere del Terzo Valico che ha invertito la tendenza.
Piano piano questa zona stava ritornando ad essere quello che è sempre stata, cioè una piccola cittadina tra la periferia di Genova e la campagna. Adesso sono zone in cui l’impatto dell’attività antropica è negativo, soprattutto grazie al cantiere di scavo da cui esce smarino: roccia tritata spesso contaminata da polimeri, enzimi e altri materiale di scarto.
Noi che viviamo il territorio stiamo pagando e pagheremo un prezzo importante, sappiamo cosa significa avere impianti di benotaggio all’interno di una valle con le betoniere che vanno avanti e indietro giorno e notte, cosa significa vedere un fiume che si tinge del colore del cemento.
La geologia della zona inoltre ci diceva che si sarebbero incontrati volumi di roccia amiantifera e serpentiniche e questo è successo in maniera importante. Sono anni che passano camion carichi di roccia con la R di rifiuto pericoloso, sono rifiuti che non vengono abbancati all’interno dalla cava ma che vengono portati in discariche speciali perché contenenti amianto oltre i limiti di legge».
Un valle dunque in continua trasfigurazione, che paga il prezzo dell’avanzata del capitalismo a discapito dell’ambiente, ed è un’avanzata permanente che lascerà segni indelebili. «Rimarranno gli ampliamenti della cava, perché i milioni di metri cubi di materiale che sono stati scavati per portare cemento ai cantieri lasceranno vuoti nelle montagne, rimarranno le colline sbancate per costruire campi base, rimarranno le fonti prosciugate. Durante lo scavo della galleria, uno dei problemi principali, è quello di intercettare le falde, che sostanzialmente sono fiumi acquiferi. Nel momento in cui tu buchi e li intercetti devi il loro corso naturale, quindi se a chilometri a valle prima usciva all’esterno ed era una sorgente, adesso esce all’interno della galleria e la sorgente è prosciugata».
Le grandi opere sono l’emblema del collasso del pianeta per mano non dell’uomo, bensì del sistema economico scelto per governare le questioni antropiche, ovvero il capitalismo. L’erosione dei territori per ingrassare le casse delle grandi imprese private è il nucleo centrale del ragionamento politico che ha portato nell’ultimo secolo alla distruzione dell’ambiente.
In realtà il progetto vero e proprio del Terzo Valico inizia a Genova Fegino, in Val Polcevera, all’altezza di Trasta. «L’inizio a Genova Fegino non ha uno snodo ferroviario che lo collega alla rete esistente, idem per Tortona che è ben distante da Milano. I raccordi, sui progetti, non ci sono, poi sicuramente ad oggi, nel 2024, avranno pensato a come collegare l’imbocco della galleria con le linee esistenti.
Già solo questo dovrebbe far riflettere quanto possa essere significativo sul corridoio Genova Rotterdam il Terzo Valico, stiamo parlando di 53km in cui si risparmieranno 30 minuti rispetto alle linee attuali e se parliamo di Genova Rotterdam parliamo di migliaia di km e non so quanto questo progetto ferroviario possa impattare.
Il Terzo Valico nasce esclusivamente all’interno di una spartizione di torte tra grossi gruppi imprenditoriali italiani. Il grande interesse del Terzo Valico è stata solo la costruzione fine a se stessa. Di sicuro è che rimane un progetto che collega Genova Fegino con Tortona, fine. E non si capisce come possa essere dirimente nel convogliare traffici di merci o di persone in direzione del nord Europa e di Rotterdam».
Il Covid, assieme all’avvento delle tecnologie digitali e alla nuclearizzazione della società, ha isolato ancora di più le persone. Questa cesura si è fatta sentire maggiormente nei gruppi politici informali, nei comitati locali e nelle lotte politiche in provincia e in periferia.
Oggi i giovani vivono un deserto politico e culturale difficile da comprendere, soprattutto per noi quarantenni che abbiamo avuto molte possibilità di politicizzazione (dai centri sociali, ai circoli culturali, alle assemblee varie) e di incontro con chi ha fatto le lotte prima, dalla Resistenza fino agli anni Settanta. Incontri che oggi per chi ha 18/20 anni sono impossibili anche solo da immaginare.
Il processo di politicizzazione inizia di fatto con la condivisione e l’incontro, e per le lotte ambientaliste e anticapitaliste degli anni zero e degli anni dieci di questo secolo quel posto è stato la Val Susa.
«La mia esperienza con il movimento No Terzo Valico nasce in Val Susa. Nell’estate 2011 avevo trovato nella lotta No Tav una cosa che personalmente mi aveva colpito, avevo visto persone stare insieme per provare a cambiare lo stato delle cose pur avendo idee diverse, età diverse, provenendo da mondi diversi e opposti. Ma erano lo stesso riusciti a costruire un percorso comune di lotta non ponendosi limiti.
In quello stesso periodo è stata finanziata una parte del Terzo Valico ed è stato fisiologico per molte persone dalle varie valli iniziare a vedersi per creare un’opposizione comunitaria alla realizzazione dell’opera. Nel 2012 si formano infatti i primi comitati, uno in Liguria qui a Isoverde, uno a Pontedecimo, poi in Piemonte ad Arquata, a Novi Ligure e a Voltaggio. È anche da queste iniziative che è nato il movimento No Tav/No Terzo Valico.
Durante gli anni ci sono state varie manifestazione a cui hanno partecipato migliaia di persone, con momenti di blocchi nei cantieri, di lotta contro gli espropri delle case e con centinaia di persone che hanno commesso atti illeciti perché convinte che fosse giusto commetterli a volto scoperto.
Queste persone hanno pagato per le loro azioni finendo sotto processo, anche se poi i processi nella stragrande maggioranza dei casi sono finiti in niente. E sono state tutte azioni che hanno permesso di rallentare notevolmente l’inizio dei lavori.
Sicuramente l’obiettivo che ci eravamo posti, cioè quello di fermare l’avanzata del progetto, sapevamo fin dall’inizio che era molto ambizioso in un luogo in cui non avevi alcun tipo di appoggio politico o sindacale. Con noi, oltre ai vari comitati, c’erano i compagni e le compagne di Genova e di altre città che ovviamente, per formazione politica e culturale, erano geneticamente dalla nostra parte.
Perché il movimento No Terzo Valico potesse incidere avremmo dovuto avere numeri diversi perché queste lotte, e mi fa schifo dirlo, si fanno sui numeri delle persone che riesci a coinvolgere. Se avessimo portato 50 mila persone in piazza a Genova contro il Terzo Valico, probabilmente avremmo vinto e ora staremmo parlando di altro».
Quando pensiamo alle lotte per l’ambiente, a come riuscire a fermare il cambiamento climatico e ad arrestare la deriva cupa a cui il nostro pianeta e la nostra specie sta andando incontro, ricordiamoci che molto spesso conta esserci, conta partecipare e sentirsi direttamente coinvolti in quelle 50 mila assenze che sono mancate per fermare l’ennesima grande opera che ha distrutto l’ambiente per un becero e mortifero interesse privato e di mercato.