La distanza che separa Città del Messico da Tlaxcala de Xicohténcatl è di soli 100 km ma le due città sembrano per certi versi distanti anni luce. Una megalopoli tra le più popolose al mondo la prima, una cittadina di provincia la seconda. Tra tutte le attrazioni che può offrire il Messico, Tlaxcala – che in lingua nahuatl significa “il luogo del mais” – non è forse tra le più rinomate. Un punto a suo favore è segnato dalla cultura culinaria preispanica, che qui è stata preservata nel corso dei secoli. Per questo motivo di solito ci arrivano soprattutto appassionati di storia e antropologia del cibo.
Dopo una chiacchierata con Irad Santacruz Arciniega, chef ambasciatore della tradizione gastronomica tlaxalteca, il luogo migliore dove farsi un’idea sull’odierna cucina del territorio è il mercato Emilio Sanchez Piedra. Tra una fila di sacchi di chile poblano e una bancarella di polli ruspanti appena spennati, le voci dei bambini che vengono a comprarsi la merenda risuonano insieme allo sfrigolio delle piastre sulle quali cuociono chorizos (salsicce leggermente piccanti) e nopales (cactus) con cui farcire enchiladas o tacos. Ai tavoli o in piedi, in attesa del proprio turno per fare la spesa o per mangiare, intere famiglie, operai, studenti, persone di ogni estrazione sociale. Di turisti se ne vedono pochi. Usciti da questo turbine di odori, colori e sapori, si ha la sensazione di aver sperimentato non solo una cucina eccellente ma anche una normalità estraniante per chi vive in “occidente”, dove i mercati alimentari hanno smesso da tempo di essere uno snodo importante della vita sociale e della catena di approvvigionamento.
In Europa, fin dai tempi dei greci e dei romani, i mercati (dal latino mercatus, ovvero da merx che indica l’oggetto di scambio) sono sempre stati luogo di commercio ma anche di riunione, rivestendo un ruolo centrale per le città. La nascita dei mercati coperti, per come li conosciamo noi oggi, risale invece al XIX secolo, quando la rivoluzione industriale ha spinto milioni di persone verso le città e le innovazioni in campo architettonico hanno permesso la costruzione di scenografici edifici in ferro o cemento armato, molti dei quali sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Il boom economico, insieme all’arrivo dagli Stati Uniti dei supermercati e dei centri commerciali, hanno però svuotato i mercati della loro funzione originaria. E così la loro gloria è durata meno della loro imponenza, visto che già a partire dalla fine del XX secolo sono stati realizzati diversi progetti di riqualificazione e valorizzazione di queste strutture ottocentesche.
In una società che vive per il consumo e trasforma tutto in merce, come ha spiegato il sociologo Zygmunt Bauman in Consumo dunque sono, anche il significato di mercato è cambiato. Il suo uso sociale, che lo rendeva un luogo permeabile a chiunque, indipendentemente dalla sua condizione economica, è stato sostituito da un uso commerciale elitario di questi spazi, destinati ad accogliere funzioni e servizi non più disponibili a tutta la comunità.
Molti dei vecchi mercati alimentari oggi ospitano centri commerciali di lusso (si pensi a Les Halles a Parigi) o insegne di ristoranti rinomati. Spesso sui loro banchi non si vendono più ingredienti a prezzi accessibili, ma prodotti esotici e “tipici locali”. Ricercatezze gastronomiche, troppo care per gli abitanti dei quartieri in cui si trovano, molto più allettanti invece per visitatori di passaggio che, facendo acquisti in questi luoghi, sono convinti di portarsi a casa un souvenir di autenticità.