I risultati delle elezioni dello scorso 25 settembre lasciano pochi dubbi su chi sarà la prossima prima ministra alla guida dell’Italia. La coalizione di destra ha guadagnato il 43,79% dei voti, a Fratelli d’Italia è andato il 26% delle preferenze. E se ancora tutto tace per quanto riguarda le diverse cariche e i vari ministeri, su un solo nome c’è la certezza: quello di Giorgia Meloni. “Una grande vittoria per le donne”, sono già pronte a titolare alcune testate italiane e non solo. Ma siamo davvero sicure che sia così? Lo abbiamo chiesto a Giulia Siviero, giornalista che si occupa di femminismi e parità di genere.
Perché le donne che vanno in politica spesso hanno un orientamento conservatore?
Io rovescerei la domanda e cercherei di capire perché i partiti che si collocano nell’area della sinistra o del centro-sinistra che sono stati al governo negli ultimi anni e dai cui ci aspetteremmo una “sensibilità” maggiore rispetto a certi temi in realtà non l’hanno avuta. La risposta è che hanno sussunto le istanze femministe e interpretato il movimento delle donne come una richiesta di parità e di semplice occupazione di uno spazio. Hanno quindi, di fatto, neutralizzato le istanze femministe, e hanno fatto un’operazione di cosmesi che non solo è depotenziante ma che evidentemente non ha funzionato nemmeno rispetto agli obiettivi quantitativi che si era data. Lo si vede molto bene, banalmente, con la legge elettorale e la rappresentanza di genere. È vero che i partiti conservatori, nel mondo, hanno avuto delle figure femminili più forti, ma semplicemente perché si trattava di donne che si adattavano perfettamente al modello di potere della maschilità. Hanno interpretato il ruolo benissimo senza portare alcuna istanza di cambiamento. Non erano scomode, di fatto, per nessuno e per nessuna.
Non basta quindi che sia donna…
No, essere utero munite non è garanzia di niente e il patriarcato agisce negli uomini come nelle donne.
Alcuni giornali però racconteranno che Giorgia Meloni a capo del governo italiano, la prima donna a raggiungere questo obiettivo, è una vittoria per tutte le donne
Certo, anche questa è una strategia di neutralizzazione: poter dire, cioè, ‘avete finalmente una donna [al governo, ndr], cosa volete ancora?’. Quella donna, però, non metterà in alcun modo in discussione il sistema esistente. Anzi diventerà l’alleata migliore del sistema patriarcale e dei suoi meccanismi di trasmissione del potere: qualcuno o qualcuna potrebbe illudersi che le cose siano finalmente cambiate quando invece non è cambiato niente.
Secondo te per cosa dobbiamo prepararci a manifestare e scendere in piazza nei prossimi cinque anni?
Per le solite cose, purtroppo. E la questione dell’aborto, e dei diritti sessuali e riproduttivi, si confermeranno come uno dei discorsi assolutamente centrali. Quel che sarà l’abbiamo già visto nelle regioni governate da qualche anno dall’estrema destra, cioè Lega e Fratelli d’Italia: tra le altre cose hanno cercato di limitare l’uso della pillola abortiva, di fare leva sul presunto senso di colpa delle donne che hanno abortito facilitando i cosiddetti cimiteri dei feti, e hanno cercato di limitare la 194 non solo non applicandola, ma usando la legge stessa. Perché di fatto è una legge molto imperfetta. C’è però da dire che nemmeno i governi di differente colore non ha fatto molto per rimuovere gli ostacoli alla libera scelta e autodeterminazione delle donne. I corpi che saranno maggiormente colpiti nei prossimi cinque anni saranno quelli delle persone più vulnerabili, già marginalizzate, razzializzate. E le lotte a fianco di queste ultime dovranno necessariamente e con più efficacia intrecciare quelle dei movimenti femministi.
Che forme di resistenza possiamo mettere in atto come cittadine e come giornaliste?
Credo molto nel lavoro dal basso e nella politica militante che non si esaurisce nello scendere in piazza a manifestare, ma che significa partecipazione e impegno dei processi che portano poi tutti quei corpi ad essere nelle piazze. È necessario formarsi politicamente all’interno dei collettivi femministi, antirazzisti, antifascisti. Credo poi che vadano sostenuti attivamente tutti quei corpi che potremmo definire intermedi e che hanno invece più facilità nel relazionarsi con le istituzioni: penso ad esempio alle reti dei centri antiviolenza femministi. Come giornaliste e femministe dovremmo poi cominciare a praticare questo mestiere con maggiore consapevolezza: come una pratica anche politica.