Nelle scorse ore è stato depositato alla Camera un disegno di legge in 7 articoli. Che sancisce il diritto ad avere una vita disconnessa.
Si parla spesso dei tempi del Covid, quando si abborda il tema del lavoro agile e della connessione continua fra la nostra attenzione, il nostro tempo personale e quello che arriva sui device di cui siamo invasi. Un fenomeno che riguarda soprattutto quei lavori che richiedono un costante accesso al computer, telefoni, programmi di messaggistica istantanea, anche quelli privati che vengono piegati alle esigenze di un lavoro che pare non avere mai tempi di attesa e dei vivere un eterno presente.
Qui e là nella legislazione italiana qualche correttivo o avviso era stato pubblicato, ma questa è la prima volta che viene depositato un progetto di legge in maniera organica. Proposta di legge 1961, primo firmatario Arturo Scotto del Pd, per un testo che ha ricevuto un apporto anche da “l’asSociata”, associazione di giovani che punta a creare un mondo del lavoro più sostenibile in cui sia possibile separare vita privata e vita professionale.
Il tema, per chi lavora come impiegato, consulente, lavoratori autonomi e a salario, c’è tutto. E riguarda il tema della propria vita personale, cioè quelle ore che risultano sottraendo almeno 8 ore di sonno (beato chi ce le ha). E però, se assumiamo otto ore di sonno significa – su 24 – che un terzo si dorme, un terzo si lavora, un terzo si vive. Peccato, tagliamola con l’accetta, che nella maggior parte dei casi quelle 8 ore di lavoro siano centrali nella giornata, non come in altri Paesi in cui si va a lavorare presto per poter staccare almeno alle 17.00.
Ecco che si intrecciano già i temi: quello della disconnessione, quello degli orari di lavoro (a quando 4 giorni su 7 per tutte e tutti?) e ci si può tranquillamente aggiungere la questione salariale e fiscale (con un pensiero di riguardo su quanti sono disoccupati, o sotto-occupati, ovviamente). Bankitalia recentemente ha sottolineato che le retribuzioni di fatto, seppure in netta accelerazione al 3,4%, dall’1,9, “sono cresciute meno di quelle contrattuali”, queste ultime trainate dall’industria e con adeguamenti meno marcati nei servizi. “Alla fine di giugno – scrive Bankitalia – le retribuzioni contrattuali in termini reali rimanevano comunque in media inferiori dell’8% circa rispetto ai livelli del 2021”.
Ma torniamo alla disconnessione
La proposta di legge di sette articoli parte con un preambolo universalista: ONOREVOLI COLLEGHI ! — Il riconoscimento di un reale diritto alla disconnessione, nell’ambito di un rapporto di lavoro, è un’esigenza che unisce tutte le generazioni e tutte le tipologie di lavoratori, ormai accomunate da una diffusa condizione di sostanziale precarietà esistenziale e lavorativa.
Come non essere d’accordo, o perlomeno va fatto notare che chi ben si trova con una forte connessione e scarsi di tempi di vita, senza mugugno e sofferenza, in genere appartiene all’esigua minoranza dei facoltosi, molto facoltosi. Il resto, la maggioranza, se la passa davvero in maniera molto diversa. E qui, però, parliamo di diritti; avere il diritto a troncare, a fermare, a recidere, una volta che il cronometro è scattato sullo stop.
A Milano, esperienze personali, ci sono persone che restano in ufficio fino a tardi perché ‘sta male’ posare la penna quando è previsto che si posi. Tanto è vero che i modi di dire si sono cristallizzati: è uno che gli casca la penna alle diciotto, diciamo di chi, finito il turno, schizza via. E non è un complimento.
Dentro questa difficoltà ad accettare i tempi del lavoro ci sono molte radici storiche, l’esigenza di una sofferenza comune nel nome del proprio star male (quella per capirci che suscita le peggio frasi quando si parla di reddito universale), c’è tutta una generazione e più d’una che ha fatto del lavoro l’unica ragione di vita, il luogo in cui ci si realizza, a livello sociale e personale.
Quando saltano gli schemi, non è una cosa recentissima, le generazioni non si capiscono più. Il lavoro non può essere l’unica metrica disponibile, specie per la propria vita, fatta di otium, si spera, oltre che di negotium. C’è anche la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, una delle Carte meno applicate nel mondo, a dire che abbiamo il ‘diritto allo svago’! Davvero! È l’articolo 24 e anche qui, siamo nel 1948, si sente la datazione. “Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite”.
Una ragionevole. Cosa vuol dire ragionevole? E soprattutto notiamo il vetusto impianto, nonostante il lodevole sforzo, che unisce lo svago alla limitazione del lavoro, che rimane un elemento centrale, irremovibile. Sarà così nel prossimo futuro, dico al di là della mancanza di lavoro?
Ma vediamo la proposta di legge.
Nel dettaglio, l’articolo 1 indica la finalità della proposta di legge, volta a disciplinare le modalità di esercizio del diritto del lavoratore alla disconnessione dagli strumenti di comunicazione telematica e a non svolgere mansioni e ricevere comunicazioni al di fuori degli orari stabiliti dal contratto di lavoro.
L’articolo 2 precisa che per «comunicazioni» si intende qualsiasi forma di contatto tra datori di lavoro e lavoratori o tra lavoratori stessi effettuate via telefono, mail tramite servizi di messaggistica istantanea o piattaforme di collaborazione.
L’articolo 3 sancisce il principio in base al quale il lavoratore ha il diritto a non ricevere comunicazioni dal datore di lavoro o dal personale investito di compiti direttivi al di fuori dell’orario ordinario di lavoro previsto dal contratto di lavoro applicato.
L’articolo 4 estende, in quanto compatibili, le tutele introdotte dalla proposta di legge anche ai lavoratori autonomi e ai professionisti, obbligando altresì gli ordini professionali e le associazioni professionali ad adeguare i rispettivi codici deontologici entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
L’articolo 5 impone alle imprese che occupano più di quindici lavoratori e la cui attività lavorativa viene svolta prevalentemente attraverso strumentazioni digitali di mettere a disposizione le strumentazioni digitali, provvedendo anche ai corrispondenti costi di gestione, necessarie per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.
L’articolo 6 introduce una serie di garanzie per il lavoratore con riguardo alla necessità di essere informato sul diritto alla disconnessione, che prevede obblighi per il datore di lavoro sia all’inizio di ogni primo rapporto lavorativo, sia in sede delle attività formative di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
Infine, l’articolo 7 prevede specifiche sanzioni in caso di violazione degli obblighi previsti dagli articoli 3 e 6.
Ricordo che ci fu un caso in cui in Germania si provò a limitare la corrispondenza mail dopo un certo orario, e che i colleghi si scambiavano messaggi di lavoro sulle mail personali, per finire un il lavoro. Come per dire che alla fine i peggiori carnefici di noi stessi spesso siamo noi stessi medesimi. Ma anche per dire che è talmente centrato sullo sbordare nella nostra vita, questo lavoro, che difficilmente riusciremo a tagliar via dopo le 18 le preoccupazioni, i desideri e soprattutto quel messaggino che ci fa essere più tranquilli perché così tutti sono avvertiti, o si preparano al volo domattina e via dicendo.
Ben venga la discussione del testo nelle aule che legiferano, facciamo partire il cronometro e vediamo quanto ci metterà il Parlamento ad arrivare a una decisione. Nel frattempo, educhiamoci ed educhiamo chi ci è vicino: il nostro tempo è nostro, dovremmo essere i primi a difenderlo con le unghie e con i denti, ovviamente ancora di più quando siamo sotto ricatto.
Dafne Tomasetto fa parte de l’Associata, un gruppo di giovani lavoratrici e lavoratori che porta avanti questa battaglia per il diritto alla disconnessione: