“Ho iniziato ad avvertire la mia diversità alle elementari, per via di alcuni dettagli che alla materna non erano emersi. Sbagliavo l’intonazione di alcune parole perché seguivo l’accento dei miei, e i miei compagni di classe ridevano”.
Sonia Lima Morais ha i capelli molto corti, folti, scuri, come i grandi occhi che mentre parla guardano il soffitto della casa dove vive a Piazza Vittorio, nel quartiere romano dell’Esquilino.
È nata nel 1990 a Roma, all’ospedale San Camillo. I genitori, entrambi immigrati in Italia da Capo Verde, lavoravano come domestici in una famiglia benestante della Capitale.
“Indossando la livrea” sottolinea Sonia aguzzando lo sguardo, che si fa duro. Ricorda la felicità di quando iniziò a leggere da sola. “Era qualcosa che mi rendeva più vicina ai miei compagni di scuola, e mi distanziava dai miei genitori. Loro hanno preso la cittadinanza nel 2009, io nel 2008, a 18 anni e mezzo. E con estrema sofferenza”.
Fino ad allora doveva girare con il permesso di soggiorno in tasca. “Una volta, alle superiori, non riuscii a partire per una gita scolastica perché il documento doveva essere rinnovato”.
Ricorda anche le file alla Questura, la frustrazione. “Non sono come questi qua, io sono nata e cresciuta a Roma: mi sono trovata a dire questo un giorno in fila alla Questura di Piazza Bologna. Soffrivo moltissimo, accusavo mia madre di avermi fatta nascere in un paese che mi trattava da straniera”.
Sonia associa il compimento dei 18 anni con l’ansia di sua madre: “Si chiedeva quando sarebbe arrivata la lettera per portare avanti la richiesta di cittadinanza, e intanto raccoglieva tutti i documenti utili: i certificati della scuola materna, delle elementari…”. Un anno per essere riconosciuta come cittadina, contro i tempi della burocrazia. Sua madre, terrorizzata dall’idea che sua figlia potesse essere mandata a Capo Verde, andava avanti e indietro dalla Questura a chiedere informazioni, a sollecitare conferme sui documenti da presentare.
“Quando ho firmato, la funzionaria mi ha detto Complimenti signorina, lei ora è cittadina italiana”.
Ma complimenti di cosa? E prima, cos’ero? Non ero cittadina italiana, ma non ero nemmeno immigrata. Ho vissuto 18 anni in una cazzo di terra di mezzo. Come si fa, così, a riconoscersi? Mi sono fatta miliardi di domande per cercare di arginare un pensiero che mi girava nella testa: Non sono niente! Non sono come i miei compagni, ma nemmeno come i miei genitori.
È come se avessi vissuto da apolide per diciotto anni, ed è una sensazione che ti porti dietro per moltissimo tempo, e intanto dentro ti cresce un forte conflitto identitario”. Un conflitto che ti creano, ma che poi devi affrontare da sola. Così come devi affrontare da sola il fatto di diventare una cittadina italiana, ma non esserlo mai per la gente intorno a te. “In Italia se sei nera sei straniera”: e Sonia è nera. E l’unica cosa che le è cambiata immediatamente dopo quel Complimenti, è stato il poter votare: una conquista che ha sentito importante, più che per sé, per i genitori, amareggiati dal fatto di non poter votare.
Per il resto, ha sempre sofferto gli sguardi degli altri, carichi di un senso di alterità. “Che ho la cittadinanza non ce l’ho scritto in fronte, è il colore della mia pelle che parla alla gente. E se sei nera, sei una migrante. E se sei una migrante la tua vita viene concepita diversamente dal resto delle persone: se sei un migrante non puoi avere interessi culturali. È strano che tu possa voler andare a cena fuori. È strano che tu possa chiedere la programmazione di un cinema. È strano che ti possa piacere l’opera. Se sei una migrante, hai un solo pensiero: devi lavorare. Tutto il resto suscita stupore: ah, ti interessa?
Come parli bene italiano. Ma io sono nata qua. La risposta non la ascoltano nemmeno: se sei nera, non ti si presta attenzione”. Parla con rabbia Sonia. La rabbia di chi ricorda tanti episodi in cui ha dovuto difendersi. “Siete troppi. Questo mi ha detto un giorno sull’autobus una signora. Siete troppi. Ma chi?”.
La rabbia di Sonia è enorme perché si compone di due ingiustizie: una è l’esclusione dalla cittadinanza, che l’ha accompagnata per i primi diciotto anni della sua vita, che l’ha costretta, bambina, a lunghe file in questura, che le ha fatto vivere l’ansia della madre rispetto al rischio di un suo eventuale rimpatrio in una terra che per lei patria non era.
L’altra è la marginalizzazione sociale che ha colpito prima i suoi genitori e poi lei. Perché la cittadinanza non basta in un paese che ti lascia ai margini. “A voi non frega nulla di noi, perché siamo neri. Perché abbiamo gli occhi a mandorla. Perché i nostri genitori parlano lingue diverse dall’italiano. Per questo ancora oggi moltissime persone non possono iscriversi ai concorsi, seppur nati in Italia. O andare in Erasmus”.
Sonia parla con rabbia anche perché oggi ha 32 anni, e ha sentito parlare della necessità di riformare la legge sulla cittadinanza centinaia di volte. L’ha vissuta sulla propria pelle e su quella di molti amici e amiche. Si è impegnata in prima persona. Ha creduto in un cambiamento, ha visto la proposta di riforma arrivare in Parlamento.
Ha sentito le parole di molti rappresentanti politici che davano ragione a lei e a chi si batteva per la riforma. L’ha visto scivolare in fondo agli interessi politici, l’ha vista strumentalizzata nelle campagne elettorali. L’ha vista accantonata da chi giurava di considerarla importante. Mentre la politica perdeva tempo e si deresponsabilizzava sempre di più, Sonia ha anche visto il clima sociale incattivirsi giorno dopo giorno. “Ho avuto sempre più paura. Mi sono sentita sempre più diversa. E in questo clima questa cittadinanza mi è indigesta”.
Ora Sonia sente parlare di Ius Scholae. Prima si parlava di Ius Culturae. Ad oggi la proposta attuale, al ribasso, che prevede la cittadinanza per chi, nato in Italia o arrivato da piccolo, abbia completato – positivamente, in caso di scuola primaria – un ciclo di studi, è ferma alla Camera, rinviata a settembre. La garanzia dei diritti per migliaia di persone – solo guardando alla popolazione scolastica, 1 studente su 10 oggi frequenta le scuole italiane ma non ha cittadinanza, 877mila in totale (dati ActionAid)– a quanto pare può aspettare ancora. Intanto, rabbia e frustrazione crescono: di Sonia, e di migliaia di persone che la politica costringe ai margini, e intorno alle quali viene costruita uno sguardo di diffidenza e alterità.
E’ davvero così difficile, nel 2022, fare una scelta che non guardi al futuro, bensì al presente?