Il parlamento spagnolo ha approvato la legge di Amnistia che aveva iniziato il suo percorso in aula sei mesi fa.
Un percorso travagliato, spesso sul punto di interrompersi, che è ed è stato la pietra angolare del patto di governo che regge il governo di Pedro Sanchez. Il segretario socialista è l’artefice di un provvedimento che al di là della valenza politica di governo riveste un significato forte e anche nuovo nella difesa della cosiddetta unità di Spagna. Quella Spagna che, bene ricordarlo, all’articolo 8 della proppria Costituzione ha voluto ascrivere che il garante della sua unità è l’esercito. Per essere chiari.
Innanzi tutto, le date. La Ley de Amnistia si rivolge a un periodo preciso. La norma copre gli atti che sono stati compiuti, e contestati dalla magistratura, proprio nel procés catalano, fra il primo di novembre del 2011 e il 13 novembre del 2023. La data nel corso delle trattative è stata allungata per riuscire a garantire gli accusati anche rispetto alla magistratura contabile, anche se non mancano già le dichiarazioni di alcuni giudici che si dicono pronti a non applicare la legge nei casi in cui si contesta la malversazione di fondi.
Se non si vuole guardare all’utilitarismo elettorale e di governo del provvedimento, ci sarebbe un aspetto sicuramente storico, e cioè che per la prima volta in decenni si ammette un metodo non repressivo per sanare una disputa territoriale e culturale, oltre che economica, che ha a che fare con uno dei nazionalismi forti in terra iberica. I documenti che si scambiarono al tempo dei patti di governo socialisti e partiti indipendentisti catalani erano molto chiari su questo punto che abbiamo riportato anche qui su Q Code .
In aula, è stata bagarre. Su questo c’è da registrare che il metodo ‘cinepanettone’ è particolarmente diffuso ormai negli emicicli una volta rispettosi della forma, e così Vox si è distinto per urla e insulti, deputati con la schiena girata, mentre il leader del Partido popular dava del codardo a Sanchez perché si è presentato solo alla fine della sessione, pochi minuti prima del voto. È soprattutto la destra a infiammare il clima da mesi, organizzando manifestazioni e spingendo le realtà più vicine, ci sono anche due sindacati di polizia che alzano la voce, contro la nuova legge. Che non sarà ancora effettiva dalle prossime ore, perché tocca aspettare che torni il Re, prima che passi nel Bollettino Ufficiale dello stato.
Da lì in poi 400 persone che sono state arrestate e processate e che hanno vissuto un vero e proprio calvario giudiziario potranno fare ricorso e quindi i giudici dovranno riesaminare quelle posizioni alla luce del nuovo articolato. Insomma, la battaglia sulla legge non finisce certo qui. In qualche modo e dal punto di vista dei tribiunali, inizia.
Pedro Sánchez, sul social X, ha pubblicato un messaggio che dice: “In politica come nella vita il perdono è più potente del rancore. Oggi la Spagna è più prospera e unita che nel 2017. La convivenza si apre cammino”.
Perdono, rancore, convivenza. Non la pensano così otto presidenti di regione in forza alla destra dei popolari, che hanno già pronti i ricorsi contro la legge, i famosi due sindacati di polizia e gli scatenatissimi amici di Giorgia Meloni, i neofalangisti e xenofobi di VOX, che sono riusciti a dire nelle ore scorse che questa legge di fatto autorizza l’uso della violenza politica. Un tono che suona più minaccioso rispetto a un agile giochino di proprietà transitive. Eppure, in Europa la cifra violenta delle destre non pare trovare argini dentro meccanismi democratici che, forse, pensavano di aver fatto i compiti sull’argomento. Sbagliando, evidentemente. Il tema del perdono e della convivenza, che assume una gran de rilevanza sul piano del metodo (nuovo? Oppure è solo un fuoco di paglia? Si vedrà) non può spegnere ricordi molto freschi degli ultimi decenni di stampo non solo popolare, ma anche socialista, rispetto al nazionalismo basco e alle richieste dell’indipendentismo politico, che fu torturato, perseguitato, messo alla berlina, fatto oggetto di discriminazione elettorale, impedito al voto e relegato dentro una vera e propria campagna di odio per cui tutto ciò che chiedeva sovranità era terrorismo. Se a parole quei tempi sembrano finiti, così come finito è il capitolo della lotta armata di Eta, è pur vero che il tema catalano e la repressione che soffrirono quanti andarono a depositare la propria papeleta illegale, ma legittima, lascia più di un dubbio. Non tanto per le parole o il famoso talante, l’attitudine di Sanchez, ma per la Spagna profonda che resiste nei meccanismi chiave del Paese e che mostra nel voto all’estrema destra non solo di esistere, ma tutta la nefasta fierezza di poter rialzare la testa. Come nel resto d’Europa, d’altronde.
Ma torniamo alla legge di amnistia: i partiti catalani sono strafelici e oggi le dichiarazioni si spingono ben oltre la fiesta per l’approvazione della legge e già si ributta sul tavolo il tema di un referendum prossimo venturo. Provocazioni normali della politica ed entusiasmo, ma sicuramente l’appoggio a stampella del governo dà alle formazioni indipendentiste un forcone che starà a pungolare il premier cercando di ottenere il massimo da questa posizione di vantaggio, che si ripercuote nei sondaggi sul partito socialista e vedremo cosa accadrà nel voto europeo.
Qui il testo della legge.