Avere un approccio di genere nella medicina è un po’ come scegliere di farsi cucire il completo buono su misura invece che comprarlo in un franchising: calza meglio, ha una qualità maggiore ma è anche più costoso. La prima volta che ho raccontato a unə amicə che avevo scoperto dell’esistenza della medicina di genere mi ha risposto con uno sguardo tra l’incredulo e il dubbioso. La cosa non mi ha stupita particolarmente: la medicina appartiene a quell’Olimpo di materie che nella testa della maggior parte delle persone prescindono da qualsiasi tipo di condizionamento. La medicina non è né donna e né uomo, né di destra né di sinistra; la medicina è semplicemente medicina ed è neutra. Non guarda alle differenze perché si occupa di qualcosa di più profondo e viscerale: i nostri corpi. Peccato che non sia esattamente così.
Senza ombra di dubbio la medicina si occupa dei corpi. Per secoli però non ha tenuto conto di un aspetto fondamentale e cioè che i corpi di uomini e donne sono diversi e proprio per questo motivo le malattie presentano sintomi differenti e i corpi stessi reagiscono diversamente alle cure, ai farmaci e alla loro posologia. Nello specifico fino agli inizi degli anni Duemila – e troppe volte ancora oggi – la medicina ha studiato principalmente soggetti maschi.
La principale conseguenza di questa scelta è che la diagnosi e la cura delle malattie avvengono in base a standard normativi maschili, anche su soggetti femmine.
Questo non impatta necessariamente il numero di diagnosi di determinate malattie che vengono fatte su donne, quanto la qualità e la tempestività delle diagnosi stesse. Il rischio maggiore è che le malattie vengano diagnosticate solo quando anche sulle donne presentano gli stessi sintomi degli uomini.