Oggi l’aspettativa di vita di una donna italiana è di 84 anni. La stessa, più o meno, degli altri Paesi Occidentali. Nel 1960 era di 69 anni e più si va indietro, più la cifra si abbassa. Un dato interessante che contribuisce a spiegare perché in molte parti del mondo sia in corso una menopause revolution, un proliferare di iniziative che mirano a tirar fuori dalla nicchia il discorso sulla menopausa, portandolo nel dibattito mainstream.
Non si tratta solo di una rivendicazione femminista per eliminare stigma e tabù che circondano il corpo della donna e il suo ciclo riproduttivo. L’obiettivo è più complesso, ovvero aumentare la consapevolezza sul tema per promuoverne una presa in carico collettiva e combattere la diseguaglianza sociale e sul lavoro.
Perché andando in menopausa a 51,8 anni, lavorando fino ai 67 e decedendo non prima degli 84, le donne (biologiche e/o che hanno fatto una transizione di genere) vivono trent’anni della loro esistenza in questa condizione. Anni in cui sono attive socialmente, affettivamente, sessualmente, professionalmente e hanno il diritto di esserlo appieno, ricevendo il supporto emotivo, sanitario e previdenziale di cui hanno bisogno. Questa fase della vita, infatti, comporta sfide importanti dal punto di vista psicologico e fisico. I sintomi possono includere stanchezza, sbalzi di umore, vampate di calore, insonnia, dolori articolari, nebbia nel cervello. Non parlarne significa protrarre l’ignoranza sull’argomento e, quindi, privare metà della popolazione del sostegno necessario, con un danno per l’intera società.
“La rivoluzione della menopausa” fa parte del dossier “Il sangue nascosto” pubblicato su Tabù, il quarto numero del nostro trimestrale cartaceo: per circa quarant’anni della loro vita, ogni singolo mese, le donne hanno le mestruazioni. Un fenomeno naturalissimo di cui ancora si tende a parlare sottovoce, con conseguenze pratiche per esempio in ambito sportivo, dove il ciclo può influenzare la performance. Il pudore sociale che circonda l’apparato riproduttivo femminile comporta la difficoltà, per chi soffre di patologie come endometriosi e vulvodinia, di ricevere la giusta diagnosi. Per non parlare della carente formazione del personale sanitario con cui si scontrano gli uomini trans e le persone non binarie che mestruano. La menopausa, infine, momento complesso e delicatissimo che grazie all’aumentata aspettativa di vita dura oggi diversi decenni, è accompagnata da scarsa consapevolezza generale e dallo stigma dell’invecchiamento. Che la responsabilità sia del patriarcato o meno è arrivato comunque il momento di cambiare le cose. Come si legge negli articoli di questo dossier a firma di Alice Facchini (Oltre i pregiudizi), Cora Ranci (Le malattie invisibili), Gabriella Grasso.